Si è svolta ieri, giovedì 13 ottobre 2022, nella Sala Capitolare del Palazzo della Minerva (Senato della Repubblica), l'Assemblea Generale dell'Associazione degli ex Parlamentari, convocata per avviare la procedura di rinnovo degli organi sociali, eletti tre anni fa, il cui mandato scadrà a fine anno. Secondo le previsioni statutarie , l'Assemblea ha eletto il Comitato elettorale e approvato il calendario che scandirà le varie fasi del procedimento di rinnovo degli organismi da eleggere. Il Presidente Falomi ha svolto una relazione di bilancio dell'attività e proposto una serie di riflessioni sulla situazione attuale e sullo stato della democrazia parlamentare utili a sollecitare un dibattito approfondito sui compiti e sulle prospettive dell'Associazione. Qui di seguito, pubblichiamo il testo completo della relazione:
Verso il rinnovo degli organi sociali: l'Assemblea del 13 ottobre
La Relazione di Antonello Falomi
Mario Barbi ha chiarito l’iter che ci dovrà portare al rinnovo dei nostri organi sociali.
Il Consiglio direttivo, nella sua riunione del 14 settembre scorso, ha cominciato a mettere a fuoco le coordinate politiche e istituzionali entro le quali saranno rinnovati gli organi sociali.
A questo proposito un riferimento per noi fondamentale sta nell’art. 2 del nostro Statuto.
L’articolo 2, come sapete, fissa le finalità e gli scopi della nostra Associazione
Tra questi voglio sottolineare tre obbiettivi, a mio avviso, particolarmente rilevanti.
Innanzitutto l’obbiettivo di contribuire alla conoscenza della Costituzione della Repubblica e alla difesa e attuazione dei suoi principi
In secondo luogo l’obbiettivo di far conoscere e valorizzare la funzione del Parlamento disegnata dalla nostra Costituzione.
In terzo luogo l’obbiettivo di tutelare la dignità degli ex parlamentari assicurandone il rispetto e la difesa degli interessi derivanti dall’esercizio dell’attività parlamentare.
Le finalità indicate dal nostro Statuto, con le procedure da esso previste, possono essere ovviamente cambiate, ma finché questo non avviene, ad esse noi abbiamo il dovere di fare riferimento.
Non in modo burocratico ma declinandole in rapporto alle questioni concrete che il dibattito pubblico propone.
La campagna elettorale è ormai alle nostre spalle.
Oggi si insediano le nuove Camere e a giorni nascerà un nuovo Governo.
Non è questa la sede per discutere come e perché, a pochi mesi dalla scadenza normale, siamo arrivati allo scioglimento delle Camere né commentare politicamente il responso delle urne.
Un responso al quale ciascuno di noi, con le proprie idee politiche e con le proprie scelte di voto, ha contribuito.
Le urne, tuttavia, hanno messo di fronte ai nostri occhi questioni che non possono non suscitare preoccupazione e allarme.
Confermando tutti i sondaggi demoscopici, l’astensionismo ha compiuto un nuovo e preoccupante balzo in avanti.
Dopo il solito piagnisteo di rito dei commentatori politici e dei partiti, l’argomento sembra essere stato, ancora una volta, rapidamente archiviato.
Io penso che noi, come Associazione, abbiamo, invece, l’obbligo di tenere accesi i fari sul fenomeno dell’astensionismo.
La recente consultazione elettorale, ci consegna cifre impressionanti.
Ci sono stati 20.179.356 elettori ed elettrici che hanno scelto di non votare.
Nelle precedenti elezioni politiche del 2018 le urne erano state disertate da 15.550.461 cittadini.
Tra il 2018 e il 2022, pur rimanendo il numero degli aventi diritto al voto pressoché identico, il numero degli astensionisti è cresciuto di 4.628.895 unità, con un incremento del 29,77%.
Se all’astensione aggiungiamo le scede bianche e le schede nulle, il fenomeno del non voto assume contorni senza precedenti.
Basta guardare i voti validi, i voti, cioè, che producono seggi parlamentari.
I voti validamente espressi nel 2022 sono stati 29.172.188. Nel 2018 erano 33.965.134.
Trail 2018 e il 2022 c’è stata una riduzione dei voti validi di 4.792.946 unità pari al 16,43%.
Quello dell’astensionismo e del non voto è un fenomeno, in atto da anni, che sta corrodendo le basi su cui poggia la nostra democrazia rappresentativa.
Quanto più alti sono l’astensione e il non voto, tanto più è basso il grado di rappresentatività del Parlamento.
Anche qui le cifre parlano chiaro: il centro-destra che ha vinto indubitabilmente le elezioni con oltre il 43% dei voti validi, rappresenta poco meno del 27% del corpo elettorale.
Il centro-sinistra con il suo 26,13 % dei voti validi, rappresenta solo il 16% degli aventi diritto al voto, mentre il M5S che ha preso il 15% dei voti validi, in termini di elettorato ne rappresenta soltanto il 9,42%.
Un Parlamento poco rappresentativo svuota di significato l’articolo 1 della Costituzione che afferma che nei limiti e nelle forme da essa stabiliti, la sovranità appartiene al Popolo.
Se il Parlamento è debole, la sovranità del popolo è debole.
Nelle nostre riflessioni passate non ci è mai sfuggito che il fenomeno dell’astensionismo misura l’abbassamento del tasso di partecipazione politica dei cittadini.
Né ci è mai sfuggito che molte delle scelte fatte nel corso degli anni passati si sono mosse nella direzione opposta a quella di favorire e promuovere la partecipazione politica dei cittadini.
Quanto pesa sulla crescita dell’astensionismo la continua e diffusa campagna di delegittimazione del Parlamento e della funzione parlamentare raccontati all’opinione pubblica come luoghi di privilegio, di lotta del potere per il potere, di malaffare, di poltrone e di casta?
Noi non neghiamo che fenomeni negativi, di corruzione, di affarismo, di cieche logiche di potere, possano inquinare e abbiano inquinato la vita politica e l’attività parlamentare.
Quello che non accettiamo è che insieme all’acqua sporca si voglia gettare via anche il bambino.
I fenomeni negativi sono stati in realtà usati per gettare fango sulla politica, sui partiti e sul Parlamento.
Nel mirino non ci sono stati semplicemente le responsabilità dei singoli ma le istituzioni politiche in quanto tali.
Non ci si può stupire, allora, se i cittadini scelgono di non votare, di astenersi.
Ma non si tratta solo di campagna di delegittimazione.
La delegittimazione del Parlamento è solo la punta dell’iceberg di processi di fondo che stanno scuotendo dalle fondamenta le basi stesse della democrazia rappresentativa e della sovranità popolare che attraverso di essa trova la sua espressione.
Pensiamo ai processi di globalizzazione e al loro impatto sulla democrazia.
Ci sono quote crescenti di poteri e di funzioni pubbliche, una volta appannaggio degli Stati che si sono dislocate al di fuori dei confini nazionali e sono state assunte da istituzioni sovranazionali o dalle forze economiche e finanziarie che dominano il mercato globale.
Pensiamo al peso che hanno sulla vita di milioni persone le decisioni di istituzioni come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l’Organizzazione internazionale del commercio, o agli effetti, dopo la fine degli accordi di Bretton Wood, della circolazione senza regole dei capitali che possono passare da un confine all’altro senza tassazione, con pesanti ripercussioni sulle monete, sulla progressività delle imposte, sulla sostenibilità sociale, economica e ambientale degli Stati.
Di fronte a noi si pone una domanda cruciale: il declino della democrazia politica e dello Stato di diritto e la loro soggezione alla legge quale espressione della volontà popolare, è inevitabile?
Dobbiamo rassegnarci all’idea di istituzioni finanziarie e politiche internazionali e di poteri economici transnazionali sottratti alle forme della democrazia politica e dello Stato di diritto?
Sono domande a cui non è facile rispondere.
Ma una risposta a questi interrogativi va data!
Le forze democratiche hanno, a mio avviso, il dovere di costruire per l’insieme dei poteri sovranazionali un nuovo paradigma che li riconduca nella sfera dello Stato di diritto e della democrazia costituzionale.
Senza questa risposta il fenomeno della crescita di forze politiche sovraniste, ostili a ogni idea di istituzioni sovranazionali, diventerà l’unica risposta credibile.
Io penso che, di fronte a questi fenomeni, ci sono due possibili reazioni: o assecondarli chiudendosi nazionalisticamente entro i propri confini, o accrescere il tasso di legittimazione democratica delle istituzioni sovranazionali.
Io penso che rinchiudersi sovranisticamente entro i propri confini sia un errore. Come ogni giorno che passa ci dimostra, ci sono problemi che possono essere affrontati e risolti solo su scala sovranazionale.
Pensiamo ai temi del cambiamento climatico, delle migrazioni, delle pandemie, della stabilità monetaria.
A questa dimensione, e per noi particolarmente a quella europea, dobbiamo dare un tasso di legittimità democratica più elevato.
Se la parte preponderante delle istituzioni europee è concentrata nella dimensione intergovenativa che relega a un ruolo marginale la dimensione elettiva del Parlamento europeo, non credo che crescerà il tasso di fiducia dei cittadini nei confronti dell’Unione Europea.
Penso che nelle istituzioni europee, occorra dare più peso al Parlamento europeo.
Quello che fa impressione che su questi rilevanti nodo, i partiti non sembrano avere molto da dire.
La crisi della nostra democrazia rappresentativa non è figlia soltanto dei processi di internalizzazione e di globalizzazione di cui ho parlato.
Pesano anche le scelte che negli ultimi anni sono state fatte nel nostro Paese,
Pensiamo agli effetti dirompenti prodotti sulla rappresentatività del Parlamento dal combinato disposto della riduzione del numero dei parlamentari e della legge elettorale.
Nel rapporto tra numero dei parlamentari e abitanti, il nostro Paese, che per anni è stato in testa alla classifica dei Paesi europei, è precipitato all’ultimo posto.
Con buona pace della retorica sulla partecipazione dei cittadini e della riduzione della distanza tra cittadini e istituzioni.
Se a tutto ciò aggiungiamo gli effetti perversi della legge elettorale vigente, il “Rosatellum”, il quadro si fa ancora più sconfortante.
Quale interesse a votare può esserci in un cittadino che sa che a causa delle implicite ed elevate soglie di sbarramento introdotte dalla legge elettorale, il suo voto andrà al macero e conterà meno che zero?
E quale interesse a votare può avere un cittadino che sa che di non poter scegliere il candidato da eleggere perché quel potere se lo sono preso le segreterie dei partiti?
Per carità di patria, non parliamo poi del fenomeno delle candidature multiple e dei catapultati nei territori per rendere ancora più ferreo il controllo partitico degli eletti.
Porsi queste domande è fondamentale se si vuole invertire la tendenza, che ha dominato dagli anni 90, di riduzione e di indebolimento del ruolo e della funzione centrale del Parlamento nella nostra democrazia.
Per invertire questa tendenza, l’Associazione può e deve giocare il suo ruolo e la sua iniziativa nei prossimi tre anni.
I terreni di impegno per invertire la rotta li abbiamo da tempo individuati, il nostro compito è rendere più stringente ed efficace la nostra azione.
Va messa mano, innanzitutto, a una nuova legge elettorale che restituisca al Parlamento una piena rappresentatività politica e territoriale e ai cittadini un voto che abbia per tutti lo stesso peso e che consenta loro di scegliersi, con le preferenze, i loro parlamentari.
Mi riferisco inoltre alla necessità di rimettere in sesto strumenti fondamentali per la partecipazione dei cittadini, a cominciare dai partiti.
A questo proposito la Costituzione italiana dice parole molto chiare all’art. 49.
I partiti sono uno strumento fondamentale di partecipazione dei cittadini per concorrere, con metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale.
Sono, cioè, un canale di comunicazione tra società e Stato molto importante.
Tutti parlano di crisi dei partiti, ma mai come in questi ultimi anni è cresciuta la loro presenza nello Stato, il loro essere un potere pubblico.
Come ho già detto a proposito di candidature, è cresciuto enormemente il potere dei vertici dei partiti nella selezione della classe dirigente del Paese.
La logica dello Spoils system ha consentito ai partiti di occupare rilevanti posizioni all’interno degli apparati pubblici.
Al tempo stesso si è radicalmente indebolita la loro presenza nella società.
Un indebolimento testimoniato dal crollo degli iscritti ai partiti
Nell’Italia di alcuni anni fa, con 13 milioni di abitanti in meno, gli iscritti ai partiti erano otto volte di più di quelli che hanno oggi.
Tutti si appellano al popolo ma il popolo sembra allontanarsi sempre più dai partiti.
Le ragioni sono tante e il nostro primo compito è cercare di individuarle e di capirle.
Più che espressione di progetti di società i partiti appaiono sempre più ripiegati sul presente, schiacciati sulle cose che danno più immediato consenso elettorale.
I partiti assomigliano sempre più a macchine elettorali che si accapigliano nei talk show a suon di slogan e di battute ma che lasciano in ombra ogni approfondimento che dia conto della complessità dei problemi e della ricerca di soluzioni ragionate.
Ci sono temi sui quali, al di là delle schermaglie propagandistiche, non sempre è così chiara la differenza delle posizioni
Prendiamo il tema delle tasse: tutti le vogliono ridurre, a destra come a sinistra
Certo ci sono differenze anche significative sulle soluzioni da adottare per ottenere questa riduzione
Nessuno, però, parla con chiarezza su come finanziare le minori entrate dello Stato.
Indebitandosi, come si dice oggi, attraverso uno “scostamento di bilancio”? O tagliando la spesa pubblica che tiene in piedi pensioni, scuola, sanità, trasporti?
Lo stesso accade sul tema rilevante della pace e della guerra e sulle relative conseguenze.
Tutto il dibattito è concentrato sull’invio delle armi all’Ucraina e sulle sanzioni alla Russia.
Pochi sembrano ragionare sulle soluzioni politiche per mettere fine a quella che il Papa ha definito “terza guerra mondiale”.
L’elusione dei problemi di fondo che incidono sulla vita quotidiana dei cittadini, non aiuta i partiti a recuperare la credibilità che hanno perso.
Il recupero di credibilità non può certo avvenire per decreto, ma una legislazione di sostegno al ruolo e alla funzione dei partiti, può certamente aiutare.
Si ripropone, in sostanza, la questione della attuazione dell’articolo 49 della Costituzione.
Su questo la nostra Associazione può e deve svolgere un ruolo, sviluppando approfondimenti e adeguate iniziative.
La regolamentazione della vita dei partiti è andata avanti, anche per responsabilità dei partiti stessi, soprattutto in chiave punitiva e disincentivante.
Pensiamo al tema del finanziamento pubblico dei partiti o a tutte
le norme che sono state approvate per disciplinare le loro finanze, come, ad esempio, il decreto “spazza corrotti”, che alludono in qualche modo ai partiti come se fossero associazioni a delinquere.
Il tema, oggi, deve diventare soprattutto quello di come incentiviamo la partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese, di come lo Stato deve sostenere le strutture che se ne fanno carico.
Una democrazia senza i partiti, è una democrazia debole, esposta ai rischi autoritari del plebiscitarismo e della sua scomposizione e degenerazione corporativa.
Nel rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, un rapporto che noi vogliamo rafforzare, c’è, a mio parere, un altro tema rilevante: quello delle istituzioni locali.
Sul piano delle istituzioni locali, la cancellazione della sola parte elettiva delle Province o il “presidenzialismo locale” con lo svuotamento del ruolo dei Consigli comunali e regionali a vantaggio delle rispettive giunte, non ha certo migliorato il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, come è dimostrato dal bassissimo livello di partecipazione al voto nelle consultazioni locali e regionali.
Altrettanto si potrebbe dire di fronte a progetti di autonomia differenziata che non garantissero a tutti i cittadini, in qualunque parte del Paese vivano, gli stessi diritti.
In questo caso, oltre al rapporto di fiducia, potrebbe essere messa in causa anche la coesione e l’unità nazionale.
Il rischio, di fronte alla incapacità di risolvere in modo inclusivo i problemi che attanagliano la vita quotidiana delle persone, è quello scaricarne la responsabilità sulle istituzioni democratiche, sul Parlamento, sulla Costituzione della Repubblica.
Sono anni che la nostra Costituzione è sotto tiro di riforme più o meno improvvisate che avrebbero dovuto risolvere i problemi.
Ma i problemi sono sempre lì e si sono fatti ancora più gravi: le disuguaglianze hanno raggiunto livelli insostenibili, intere generazioni di giovani soffrono la mancanza di lavoro o sono costrette a lavori poveri e precari, le retribuzioni sono in calo da anni, il lavoro autonomo è sempre più in sofferenza, il divario Nord-Sud si è accresciuto, i benefici del welfare si vanno assottigliando, perfino il “privilegio” di vivere in pace è oggi messo in discussione.
Di fronte a questi problemi che fanno tremare le vene ai polsi di chi ha o avrà la responsabilità di governare il Paese, si vuol fare credere che basta la formuletta magica del Presidenzialismo per risolverli, come se la concentrazione del potere in un uomo solo potesse restituire sovranità ai cittadini e coprire i difetti di una politica sempre meno inclusiva e sempre più distante dalla vita dei cittadini.
In vista del rinnovo dei nostri organi sociali, ho voluto mettere sul tappeto i temi che a me paiono rilevanti per la vita dell’Associazione nel prossimo triennio.
Sono convinto che dal dibattito che ci sarà oggi, verranno ulteriori contributi e arricchimenti, in modo da avere materiale sufficiente per la stesura di un documento di accompagnamento della lista dei candidati ai diversi organi sociali della nostra Associazione.
A questo proposito il CD ha ritenuto utile la costituzione di un piccolo gruppo di lavoro per buttare giù una bozza di documento che raccolga in modo unitario la discussione e che dia chiare e solide basi programmatiche alla lista dei candidati.
Ne fanno parte il Presidente, il Vicepresidente vicario, il Segretario, il Tesoriere, e gli onorevoli Walter Bielli, Paolo Franco e Giovanni Crema.
Il loro compito è quello di raccogliere la discussione di oggi, quella di elaborare un documento che individui il lavoro dell’Associazione per i prossimi tre anni.
Ovviamente ci sono anche altri temi che dovremo affrontare nel documento come quello dello sviluppo delle attività di servizio dell’Associazione, della messa a fuoco del ruolo dei comitati regionali e del loro funzionamento, o quelli che emergeranno dal nostro dibattito.
Per quello che riguarda la lista dei candidati, propongo una scelta
politica, quella di una lista unitaria.
Come sapete, il nostro Statuto consente di presentare più liste di candidati.
Nella storia più che cinquantennale della nostra Associazione, soltanto una volta, nel 1992, sono state presentate due liste.
L’identità della nostra Associazione sta nell’essere espressione di una molteplicità di esperienze parlamentari, di punti di vista culturali e politici, di appartenenze politiche.
In questa molteplicità sta la ricchezza dell’Associazione e la sua forza.
A questa ricchezza noi non possiamo né dobbiamo rinunciare anche di fronte ai nuovi ex-parlamentari che vorranno iscriversi all’Associazione.
Nel corso dei sei anni della mia Presidenza mi sono sforzato al massimo per mantenere una gestione unitaria dell’Associazione.
Ho cercato in ogni modo di evitare che l’Associazione potesse diventare cinghia di trasmissione di questa o quella parte politica.
L’unica fedeltà che ho difeso è stata quella alle finalità e agli scopi indicati nel nostro Statuto.
Grazie alla scelta unitaria abbiamo resistito a un attacco senza precedenti che ha tentato di negare il ruolo che abbiamo avuto nel Parlamento e nel Paese e che ci ha dipinto come una casta di privilegiati, di parassiti, dediti soltanto alla cura dei propri interessi.
Contro questo attacco abbiamo tutti insieme resistito. Abbiamo difeso la dignità degli ex-parlamentari sforzandoci di valorizzare la loro esperienza in ogni sede.
Ci siamo preoccupati ogni giorno di tutelare gli interessi degli ex-parlamentari e di fornire ogni utile assistenza alle famiglie dei soci scomparsi.
Sappiamo che la nostra battaglia, anche se ha ottenuto risultati significativi, ancora non si è conclusa.
(…)
Come sapete, le sentenze, emesse in autodichia, dai giudici dei due rami del Parlamento hanno ridimensionato parzialmente la portata della retroattività, riducendone, in molti casi drasticamente, il periodo temporale della sua applicazione.
Tuttavia, i giudici interni di Camera e Senato non hanno messo in discussione, come noi abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere, l’applicazione retroattiva del metodo contributivo
Rimane, cioè, aperta la nostra contestazione alla pretesa degli Uffici di Presidenza, in violazione dei principi dello stato di diritto, di applicare retroattivamente regole per il calcolo dei vitalizi che non esistevano al momento della maturazione del diritto.
In questo momento la partita si gioca su due tavoli: quello della Corte costituzionale e quello del Consiglio di giurisdizione della Camera dei deputati.
Sul tavolo della Corte costituzionale, come sapete, la nostra battaglia è arrivata grazie alla decisione del Consiglio di garanzia del Senato di rimettere al giudizio della Corte la valutazione sulla legittimità di norme di legge che chiamano in causa la questione dei vitalizi nonché quella degli strumenti utilizzati dagli Uffici di Presidenza per tagliarli.
Il 4 ottobre scorso si è svolta a Palazzo della Consulta l’udienza. Sono intervenuti, per l’Associazione, gli avvocati Sorrentino e Lentini e, per alcuni singoli ricorrenti, gli avvocati Paniz e Besostri.
Siamo in attesa della sentenza, anche se non sappiamo quando sarà resa pubblica.
(...)
Il secondo tavolo su cui si gioca la nostra battaglia è quello del Consiglio di giurisdizione della Camera dei deputati.
L’organo dell’autodichia della Camera, infatti, dopo quella parziale sullo spostamento al 1° gennaio 2019 della data di applicazione del calcolo contributivo, deve emettere la sentenza di primo grado sulle questioni di legittimità sollevate.
(...)
E’ per noi molto importante che i giudizi di Camera e Senato si concludano prima dell’insediamento dei nuovi organi giudiziari interni delle Camere.
Si eviterebbero le lungaggini connesse alla ripetizione delle udienze al cospetto dei nuovi giudici.
Tutte le ragioni che ho sin qui illustrato sulla vicenda dei vitalizi, sono un motivo in più perché si continui con la lista unitaria, come premessa di una gestione unitaria dell’Associazione.
Consentitemi, infine, di trattare un ultimo punto che riguarda i criteri per la composizione della lista unitaria.
Per la formazione della lista abbiamo due vincoli: il primo è un vincolo numerico. Secondo l’art. 10 del nostro Statuto i membri del Consiglio Direttivo non possono essere più di trentasei a cui si aggiungono, di diritto, i coordinatori regionali.
Il secondo vincolo riguarda la presenza femminile. L’articolo 6 dello Statuto prevede che le elezioni degli organi esecutivi debbono rispettare il principio della parità di genere sancito dall’art. 51 della Costituzione.
Un criterio fondamentale per la vita dell’Associazione è quello della presenza negli organi sociali di tutte le culture politiche che, insisto, costituiscono la forza e l’identità dell’Associazione.
Inoltre, in rapporto alla loro effettiva consistenza e attività, occorrerà fare ogni sforzo perché nei nostri Organi sia il più possibile garantita la presenza di tutti i territori che compongono la nostra Associazione.
Concludo qui la mia introduzione che ha voluto essere un contributo, spero utile, al percorso che ci attende da oggi fino al 16 dicembre.