La relazione del Presidente Falomi all'assemblea generale dei soci del 12 giugno 2019

La relazione del Presidente Falomi all’assemblea generale dei soci del 12 giugno 2019

RELAZIONE INTRODUTTIVA-12 giugno 2019

UN NUOVO PATRIOTTISMO COSTITUZIONALE PER SALVARE L’ITALIA

 

Assemblea ordinaria dei soci

Roma, 12 giugno 2019

 

 

RELAZIONE INTRODUTTIVA DEL PRESIDENTE

  1. ANTONELLO FALOMI

 

Care colleghe e cari colleghi,

 

Mi associo anch’io alle parole di ricordo e di cordoglio, pronunciate dal nostro Vicepresidente Paolo Caccia per quanti ci hanno lasciato in questi ultimi sei mesi.

 

Figure eminenti che hanno segnato la vita e la storia del nostro Parlamento, ma anche i tanti meno noti “travet” della politica e delle istituzioni senza il cui impegno e la cui passione difficilmente l’attività parlamentare potrebbe procedere.

 

Sento di dover dedicare un ricordo particolare a Renzo Patria.

 

Un amico, prima che un collega. È anche grazie a lui che ho potuto conoscere da vicino la realtà dell’Associazione, che a mala pena conoscevo.

 

L’Associazione deve molto a Renzo Patria non solo per gli importanti incarichi che vi ha ricoperto per tanti anni, ma per il ruolo concreto che vi ha svolto e per l’impegno continuo che vi ha profuso.

 

C’è una caratteristica di Renzo che m i piace sottolineare: la concretezza.

 

Dietro modi burberi, a volte un po' bruschi, mai, però, arroganti, Renzo ci ha sempre richiamati al dovere dei compiti concreti da assolvere.

 

Concretezza che non è andata mai a discapito della convinzione, in Renzo profondissima, della necessità per l’Associazione di mantenere sempre un profilo unitario.

 

Oggi piangiamo la sua scomparsa ma siamo convinti che ciò che ha fatto per tutti noi non sarà dimenticato.

 

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Nell’aprire i lavori di questa nostra Assemblea voglio innanzitutto ringraziare quanti nella Presidenza, nel Consiglio Direttivo e nei coordinamenti regionali hanno con il l loro impegno condotto e animato la vita e l’attività della nostra Associazione.

 

Un grazie particolare lo devo a Radio Radicale che con le sue trasmissioni radiofoniche e televisive ha spesso seguito i nostri lavori consentendoci di ritrasmetterli a beneficio di quanti non vi hanno potuto partecipare.

 

In un momento così incerto e oscuro per la sua vita, noi vogliamo ricordare sottolineare che, grazie a Radio Radicale, abbiamo potuto esprimere liberamente, senza censure o manipolazioni, come purtroppo ci è spesso capitato con altri organi di informazione, il nostro punto di vista, le nostre proposte sulle vicende che ci hanno coinvolto in questo ultimo anno.

 

È proprio questa la caratteristica preziosa di Radio Radicale: l’offerta di un prodotto informativo unico nelle sue caratteristiche che non resisterebbe un solo giorno se fosse affidato a mere logiche di mercato, grazie alle quali il pluralismo informativo va sempre più restringendosi e concentrandosi in poche mani.

 

Per questo la voce di Radio Radicale non può essere spenta ed esprimiamo l’augurio che sia trovata una soluzione che le consenta non solo di vivere ma di continuare a svolgere quella funzione di servizio pubblico che ha finora svolto.

 

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Care colleghe e cari colleghi,

 

  1. La nostra Associazione compie quest’anno i suoi primi cinquanta anni di vita.

 

Avremo modo, in vista della prossima Assemblea di dicembre, di celebrarli degnamente.

 

Oggi, in questa sede, voglio solo ringraziare quanti – soci, organismi direttivi e Presidenti – con la loro passione, il loro impegno, hanno consentito all’Associazione di vivere ed operare, tenendo vivo negli anni, al di là della loro appartenenza politica, il vincolo che ha unito tante generazioni di parlamentari durante l’esercizio del loro mandato.

 

È grazie a loro che oggi noi continuiamo a esistere.

 

È grazie allo Statuto che, nel corso degli anni, essi hanno elaborato che disponiamo di una bussola che ci ha consentito e ci consente di navigare in mari, a volte tranquilli, a volte tempestosi.

 

Non possiamo certo dire che il mare che stiamo attraversando in questa fase della Storia del nostro Paese, sia un mare tranquillo. Al contrario, ci appare un mare in tempesta.

 

La nostra missione, come Associazione, è quella di dare il nostro piccolo contributo per evitare che la “nave Italia” si sfracelli sugli scogli, portandola, invece, a navigare in acque più tranquille.

 

È un compito enorme che grava in larga parte sulle spalle delle forze politiche, di maggioranza e di opposizione, che devono dare alle nostre istituzioni rappresentative indirizzi politici e programmatici capaci di far uscire il Paese dalla crisi che sta vivendo.

 

A noi non spetta assumere compiti che spettano alle forze politiche.

 

Quello che possiamo e dobbiamo fare per dare il nostro piccolo contributo sta scritto nel nostro Statuto, più precisamente all’articolo 2, che stabilisce finalità e scopi della nostra Associazione.

 

Il punto c) di quell’articolo dice che l’Associazione si propone di “contribuire alla conoscenza della Costituzione della Repubblica e alla difesa ed attuazione dei suoi principi”.

 

Non si tratta di un richiamo burocratico a un documento fondamentale della nostra Associazione che, nelle forme stabilite dallo Statuto, può essere sempre modificato.

 

  1. Si tratta, invece, del richiamo del nostro Statuto al Patto nazionale fondamentale della nostra convivenza: La Costituzione della Repubblica.

 

Un Patto che raccolse il consenso del 90% dei membri della Assemblea Costituente, nel quale confluirono le grandi tradizioni politiche del Paese, quella cattolica, comunista, socialista e liberale.

 

Un Patto realizzato nel fuoco di contrasti politici molto aspri e qualche volta persino cruenti, reso possibile non da un banale compromesso ma da una vera e profondamente sentita disponibilità di tutti a un accordo che raccogliesse il più vasto consenso.

 

Patto nel quale si è riflessa la disponibilità d’animo e la voglia di ricostruzione della grande maggioranza degli italiani duramente provata dalla più sanguinosa guerra che mai si sia combattuta – 55 milioni di morti – e di quanti avevano partecipato attivamente alla Resistenza alla dittatura e all’invasione tedesca.

 

Sarebbe bene che le attuali forze politiche considerassero il ruolo prezioso che la nostra Legge fondamentale ha esercitato negli anni difficili della prima costruzione della nostra vita democratica.

 

Ricordo che sono stati anni di divisioni profonde nel mondo: la guerra fredda, tra EST e OVEST e in Italia le durissime contrapposizioni tra partiti che, tuttavia, pur nella asprezza dello scontro, mai pensarono di denunciare il Patto voluto dai Padri costituenti.

 

Al contrario, proprio in virtù di esso, riuscirono a mantenere le ragioni di una reciproca coesistenza.

 

La Costituzione, cioè, è riuscita a essere per tutte le forze politiche - conservatrici e progressiste, di maggioranza e di opposizione - la garanzia che la vittoria della parte avversa non avrebbe messo a rischio le regole democratiche e i diritti e le libertà della parte soccombente.

 

Ed è riuscita, al tempo stesso, a essere strumento fondamentale di costruzione e di rafforzamento della nostra unità nazionale.

 

Unità a cui dobbiamo guardare oggi con particolare attenzione di fronte a decisioni che possono innescare pericolose spinte disgregatrici.

 

In tema di autonomia regionale non dobbiamo temere misure che la rafforzino e che migliorino il rapporto tra Stato centrale e comunità regionali e locali.

 

Ciò che dobbiamo temere e contrastare è che si mettano in discussione diritti e condizioni di eguaglianza delle condizioni di vita di tutti i cittadini in qualunque Regione essi vivano e che, di fronte, a diseguaglianze e a discriminazioni, le popolazioni coinvolte non possano essere consultate.

 

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Sono queste le ragioni per le quali  la difesa e l’attuazione dei principi della Costituzione, come recita il nostro Statuto, rimane per l’Associazione il terreno principale della sua azione e della sua identità.

 

  1. Tuttavia, ciò non significa difendere lo status quo e non tener conto dei profondi cambiamenti intervenuti dal 1948 ad oggi in Italia e nel mondo.

 

Cambiamenti che hanno riguardato e riguardano i meccanismi dell’economia, il loro rapporto con l’ambiente e con innovazioni tecnologiche e scientifiche sempre più pervasive, le dinamiche sociali e culturali che hanno innescato, i mutamenti profondi nel costume, nella coscienza civile e nella gerarchia dei valori.

 

Cambiamenti strettamente intrecciati con quelli avvenuti su scala globale.

 

Guidati da regole, procedure e istituzioni internazionali spesso sottratte a ogni forma di controllo democratico sono andati avanti processi di disordinata mondializzazione dei mercati che hanno sconvolto i legami sociali di intere popolazioni di cui abbiamo ogni giorno drammatica testimonianza nei fenomeni migratori che ci investono.

 

Al tempo stesso assistiamo a un aumento senza precedenti della diseguaglianza: in Occidente a danno dei poveri, delle classi lavoratrici, e delle classi medie, dove mai è stata così grande la distanza tra i più ricchi e i più poveri.

 

Anche nei Paesi beneficiati dalla globalizzazione osserviamo che la ricchezza si concentra nelle mani dei gruppi dominanti.

 

Dal 1948 ad oggi anche l’ordine mondiale uscito dalla Seconda guerra mondiale ha subito e sta subendo radicali cambiamenti.

 

Il vecchio Blocco sovietico si è sfaldato, mentre l’alleanza transatlantica tra Europa e Stati Uniti mostra crepe vistose con la Brexit da un lato e il mutato atteggiamento dell’America di Trump verso l’Europa, dall’altro.

 

Anche il processo di costruzione dell’Unione europea, dopo le recentissime elezioni europee, mostra una consistente maggioranza del fronte europeista diventato, però, più liberal e più ambientalista che, tuttavia, non può non fare i conti con una crescita delle forze sovraniste e con un baricentro politico sempre più spostato a Nord che rischia di penalizzare Paesi, come il nostro, che si affacciano sul Mediterraneo.

 

Anche il ruolo, del Mar Mediterraneo è sottoposto a tensioni nuove sotto la spinta dei conflitti sanguinosi che hanno accompagnato e accompagnano il risveglio e la radicalizzazione del mondo islamico e provocato nuove ondate migratorie.

 

Da questa rapida carrellata sui profondi mutamenti intervenuti in Italia e nel mondo dal varo della nostra Costituzione a oggi, si comprende l’enormità dei compiti che stanno di fronte a quanti hanno la responsabilità di affrontarli.

 

Si tratta di responsabilità per compiti che gravano soprattutto sulle spalle delle forze politiche che guidano Paesi e Istituzioni.

 

Come ho già detto, non è un compito che spetta a noi.

 

Abbiamo sufficiente consapevolezza di quello che siamo per cedere alla tentazione un po' patetica di sostituirci al ruolo che spetta alle forze politiche.

 

  1. Ovviamente, questo non vuol dire che non abbiamo nessun ruolo da svolgere.

 

Al contrario, proprio quello che siamo – Associazione che raccoglie tutti gli orientamenti politici che si sono confrontati e combattuti per anni in Parlamento – ci indica che possiamo e dobbiamo avere un ruolo.

 

Ne abbiamo discusso nelle ultime due riunioni del Consiglio direttivo e il documento che abbiamo approvato ci indica come svolgerlo.

 

Qui, in questa sede, voglio mettere l’accento su due questioni.

 

Innanzitutto, il ruolo della politica.

 

L’antipolitica, che caratterizza da anni la retorica e le azioni dei populismi politici e mediatici, giustamente ci indigna e ci spaventa per i pericoli che dietro di essa intravediamo per la nostra democrazia.

 

L’antipolitica, però, è anche l’altra faccia di un processo di apparente spoliticizzazione che nasconde le decisioni politiche e i soggetti che le prendono sotto una spessa coltre di organismi, normative, regolamenti, procedimenti, algoritmi presentati come indiscutibili, oggettivi, immutabili, dietro cui, però, si mascherano precise intenzioni politiche.

 

Per questo, non si può combattere l’antipolitica se la politica non riconquista a tutti i livelli istituzionali il ruolo che le spetta.

 

In questo senso penso che l’Associazione possa e debba rivolgere un forte appello a tutte le forze politiche: riprendete nelle vostre mani ciò che, ormai da troppo tempo, vi è stato sottratto.

 

  1. C’è una seconda questione su cui vorrei, in questa sede, porre l’accento e su cui vogliamo sviluppare con forza la nostra iniziativa politica e culturale.

 

All’inizio di questa mia introduzione ho sottolineato con forza il ruolo di Patto nazionale tra gli italiani svolto negli anni dalla Costituzione repubblicana del 1948 e di come quel Patto sia stato decisivo per la nostra crescita democratica, economica, sociale e culturale.

 

La domanda che ci poniamo e che poniamo a quanti vogliono essere nostri interlocutori è: quel Patto, nonostante gli anni trascorsi e nonostante i profondi cambiamenti di cui prima ho parlato, è un Patto ancora attuale? Ci sono aggiornamenti da fare e in quale direzione?

 

La nostra risposta è che siamo molto convinti della straordinaria attualità della Costituzione italiana e della sua capacità di evolversi in modo omogeneo nel rispetto delle procedure stabilite.

 

La domanda e la risposta non sono né retoriche né astratte ma nascono dal carattere turbolento della difficile fase che il nostro Paese sta attraversando.

 

Questo perché siamo convinti che, come diceva Sturzo, è proprio nei momenti di confusa e indistinta transizione che le Costituzioni svolgono la loro più vera funzione, quella di essere, per tutti, punto di riferimento.

 

  1. Senza un chiaro punto di riferimento i rischi sono tanti e stanno tutti sotto i nostri occhi. Non vederli, non denunciarli può diventare molto pericoloso.

 

Nel dibattito pubblico in generale e nel dibattito politico in particolare si avverte l’esistenza di una allergia diffusa ad ogni regola, a ogni forma di controllo e di contrappeso istituzionale e sociale.

 

Spesso si parla della Costituzione come un “ferro vecchio” e si tende a disconoscere le norme costituzionali come norme superiori a qualsiasi altra norma.

 

Da anni governi di diverso segno politico, e quello attuale non sembra fare eccezione, anziché impegnarsi in una seria manutenzione della nostra Costituzione, avviano stagioni di veri e propri conflitti istituzionali facendo passare l’idea che tutti i mali del Paese derivino dal nostro assetto costituzionale o usano la Costituzione come una clava politica per randellare gli avversari o per guadagnare qualche consenso per la propria parte.

 

Non credo sia un caso che ogni volta che gli italiani sono stati chiamati a pronunciarsi in referendum costituzionali abbiano respinto sonoramente progetti di modifica della Costituzione ispirati a quelle idee e a quelle logiche.

 

Aggiornare la Costituzione si può ma alla condizione che non venga mai meno lo spirito unitario che ha reso possibile il largo consenso ottenuto da quella del 1948.

 

Non si tratta di cancellare le differenze che animano il confronto e il conflitto politico.

 

Si tratta, invece, di avere la consapevolezza della assoluta necessità di far svolgere quel confronto e quel conflitto in un ambito comune di valori e regole ampiamente condivisi.

 

Quell’ambito è la Costituzione. Fuori di essa ci sono solo sentieri di guerra, lacerazioni, divisioni difficilmente arrestabili.

 

Da questo punto di vista occorre abbandonare il “linguaggio di guerra” che sembra essersi impossessato del dibattito e del discorso politico.

 

Oggi si pronunciano parole una volta indicibili, non si ha alcun timore di apparire sguaiati e di superare ogni limite, purché sia utile a raggiungere i propri scopi.

 

È un linguaggio che rende impossibile ogni forma di mediazione, ispirato alla logica “mors tua, vita mea”.

 

Solo dal riconoscimento e dal rispetto reciproco è possibile ottenere i frutti migliori.

 

La Costituzione italiana è uno di questi frutti.

 

  1. Come sapete, anche l’attuale Parlamento, ha avviato un percorso di modifiche costituzionali, mentre altre se ne annunciano: la riduzione del numero dei parlamentari, l’introduzione del referendum propositivo, l’abolizione del divieto di vincolo di mandato e l’autonomia differenziata.

 

Mi pare che anche questa volta si stia seguendo la vecchia cattiva strada delle modifiche a colpi di maggioranza.

 

Sembrano non aver imparato nulla dai pronunciamenti popolari che hanno sempre respinto nettamente modifiche costituzionali che non fossero espressione di un largo consenso politico.

 

A questo riguardo, se c’è una modifica costituzionale da mettere prioritariamente in cantiere.

 

Mi riferisco al progetto di Legge costituzionale n. 2115, presentato tempo fa su iniziativa di Leopoldo Elia, Franco Bassanini, Giuseppe Ayala, che dispone maggioranze rafforzate per l’adozione dei Regolamenti delle Camere, per l’elezione del Presidente della Repubblica, per la nomina dei giudici costituzionali e, infine, per le proposte di revisione costituzionale, ai sensi dell’articolo 138.

 

Alla luce di quanto sta accadendo ai vertici di governo della magistratura, penso che una garanzia rafforzata vada data anche per l’elezione dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura.

 

Quanto alle altre proposte di revisione costituzionale in fase di approvazione da parte delle Camere, le forze della maggioranza governativa che se ne sono fatte promotrici, ci tengono a sottolineare che questa volta non si è scelta la strada di modificare parti consistenti della Costituzione, ma quella di modifiche puntuali riguardanti singoli aspetti dell’impianto costituzionale.

 

Questo è un fatto certamente positivo perché rispetta in modo più stringente le procedure di modifica previste dall’articolo 138.

 

Tuttavia, bisogna evitare che il rispetto formale delle procedure previste diventi una “furbata” per proporre in simultanea singole modifiche che nascondono un più ampio disegno di modifica dell’impianto costituzionale.

 

Tra le proposte adottate in prima lettura dalle Camere e quelle annunciate, c’è, in realtà, un filo rosso che le unisce: un evidente indebolimento del ruolo del Parlamento e del carattere parlamentare della nostra democrazia.

 

Sono convinto che le forme di partecipazione popolare alla vita democratica, previste dalla nostra Costituzione, del Paese debbano essere incoraggiate e possano essere ulteriormente sviluppate.

 

Al netto di un chiarimento sui temi che possono essere sottoposti al pronunciamento e dei quorum necessari, la proposta della istituzione di un referendum propositivo può essere legittimamente oggetto di proposte di modifica costituzionale.

 

Quello che non va, da un lato, è la contemporanea demonizzazione e demolizione di altri strumenti di partecipazione dei cittadini previsti dalla nostra costituzione.

 

Mi riferisco ai partiti, privati di ogni finanziamento pubblico, sempre più esposti ai condizionamenti dei finanziamenti privati e messi alla stregua di associazioni a delinquere, come è capitato con la cosiddetta “legge spazzacorrotti”.

 

Mi riferisco ai tentativi ricorrenti di scoraggiare il finanziamento delle organizzazioni sindacali e l’impegno militante di lavoratori e lavoratrici, parlando di inesistenti “privilegi”.

 

Dall’altro lato non va la proposta, contenuta nel progetto in discussione, di celebrare un referendum in cui si contrappongono i testi approvati dal Parlamento con i testi proposti da un qualunque comitato promotore.

 

Dietro questa proposta si nasconde una tesi, a mio avviso, molto preoccupante.

 

La tesi della prevalenza assoluta della sovranità popolare che dimentica, però, che la sovranità va esercitata nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione.

 

In realtà l’assolutizzazione della sovranità popolare nasconde una illusione pericolosa, l’illusione della democrazia diretta esercitabile attraverso il ricorso a referendum frequenti resi possibili dalle nuove tecnologie della rete.

 

Senza voler considerare le pesanti critiche sotto il profilo della trasparenza e della possibilità reale di controllo mosse recentemente dal Garante della privacy alla Piattaforma Rousseau, attraverso cui si consultano gli iscritti al M5S, emerge una idea di democrazia che mira a  sostituire la democrazia rappresentativa, costruita sul dialogo, sul confronto e sulla mediazione tra ragioni contrapposte, con una democrazia plebiscitaria, profondamente condizionata da campagne mediatiche nelle quali è facile contrapporre al discorso razionale il discorso delle emozioni e dei sentimenti.

 

Anche l’altro progetto in discussione, quello della riduzione del numero dei Parlamentari, per come viene motivato e portato avanti, porta i segni dell’indebolimento del ruolo del Parlamento.

 

Non è un caso che all’opinione pubblica il discorso della riduzione dei parlamentari viene “venduto” come riduzione delle “poltrone” a disposizione dei politici e come riduzione dei costi della politica, con i tipici argomenti, cioè, dell’antipolitica.

 

Cionondimeno si può ragionare attorno alla riduzione del numero dei parlamentari se collegata a una trasformazione del ruolo di una delle due Camere in rapporto al sistema delle autonomie regionali e locali e a un rafforzamento della rappresentatività territoriale e politica dell’altra Camera.

 

Ciò implica una decisa virata del sistema elettorale della Camera “politica” in direzione di un modello capace di rappresentare con efficacia i territori e il pluralismo delle forze politiche.

 

In assenza di queste condizioni, la riduzione del numero dei parlamentari è soltanto l’introduzione surrettizia di soglie di sbarramento molto elevate che escluderebbero milioni di cittadini dalla rappresentanza parlamentare, indebolendo ulteriormente la legittimità democratica del Parlamento.

 

Noi che abbiamo per scopo statutario quello di valorizzare la funzione del Parlamento migliorandone il rapporto con i cittadini, non possiamo che opporci a misure che tendano a indebolirlo.

 

  1. È questo il senso della dura battaglia che abbiamo combattuto sulla questione dei vitalizi.

 

Siamo stati additati all’opinione pubblica come rappresentanti di una casta chiusa in una difesa cieca dei propri privilegi, insensibile al bisogno di equità sociale che la abnorme crescita delle disuguaglianze ha provocato.

 

Nulla di più falso!

 

Non ci siamo mai rifiutati di dare il nostro contributo in questa direzione.

 

Abbiamo fatto ogni sforzo per convincere i nostri interlocutori istituzionali a sedersi con noi intorno a un tavolo per trovare soluzioni ragionevoli, costituzionalmente sostenibili.

 

Le nostre proposte concrete le abbiamo scritte e inviate ma non sono state prese in nessuna considerazione.

 

Ciò ha reso chiaro il senso e la natura dell’operazione vitalizi.

 

L’obbiettivo non era la tanto strombazzata equità sociale, considerato che nulla si è chiesto a persone con redditi enormemente superiori ai redditi degli ex-parlamentari.

 

L’obbiettivo vero della decisione di taglio selvaggio dei vitalizi era ed è quello di continuare ad alimentare una campagna politico-mediatica di denigrazione, di delegittimazione della funzione parlamentare e del Parlamento, colpendo le garanzie, anche economiche, poste dalla nostra Costituzione a tutela della sua autonomia e della sua libertà.

 

Che le cose stiano in questi termini è confermato da un dato inoppugnabile: a nessun cittadino italiano è stato riservato il trattamento inflitto agli ex-parlamentari e ai titolari di pensioni di reversibilità.

 

Non è successo agli ex-consiglieri regionali, anch’essi vittime della stessa campagna politico-mediatica per ricalcolare retroattivamente con metodo contributivo i loro vitalizi.

 

Grazie alla battaglia che noi abbiamo combattuto e, grazie una Intesa sottoscritta dal Governo con le Regioni, gli ex-consiglieri regionali hanno potuto attenuare gli effetti prodotti dal ricalcolo contributivo dei loro vitalizi.

 

Non è successo ai cosiddetti “pensionati d’oro” – quelli, per intenderci che hanno pensioni superiori a 100.000 euro lordi annui – a cui, nonostante roboanti annunci mediatici, non è stato applicato nessun ricalcolo retroattivo con metodo contributivo.

 

Per loro, si è scelta la strada di un contributo di solidarietà per 5 anni che per una pensione annua di 300.000 euro lordi produce un taglio che non supera il 19%.

 

Metto in evidenza questo dato non per negare l’incostituzionalità di una operazione che introduce, di fatto, un prelievo di tipo tributario che grava sui redditi di una sola categoria di cittadini, ma per dare la misura del carattere abnorme di ciò che è stato fatto nei confronti degli ex-parlamentari e dei titolari di reversibilità.

 

Non considerando gli assegni di reversibilità, a fronte di un vitalizio medio di 61.348 euro lordi annui - ampiamente al di sotto della soglia di 100.000 euro, il taglio medio supera il 41%.

 

Un taglio medio che diventa del 50% se lo riferiamo ai 311 ex-parlamentari che hanno una età superiore a 85 anni.

 

Parliamo di colleghi e di colleghe che vivono una fase particolarmente fragile della loro vita.

 

Persone che hanno svolto il loro mandato parlamentare in anni lontani nel tempo, nelle prime legislature della Repubblica, quando l’Italia era duramente impegnata nello sforzo della ricostruzione democratica, economica, sociale e morale e che adesso ricevono come “riconoscimento” per aver dedicato una parte della loro vita a servizio del Paese, l’insulto di essere considerati come “ladri di privilegi” e come parassiti.

 

Finora ho parlato di taglio medio del 41%.

 

Se scendiamo nel dettaglio la realtà che emerge è ancora più impressionante.

 

Su 1937 ex-parlamentari sono 401 quelli che hanno subito un taglio del vitalizio compreso tra il 50 e il 77%, mentre sono 694 gli ex-parlamentari che ha visto una decurtazione compresa tra il 40 e il 50%.

Sono, invece, 483 quelli attestati su un taglio tra il 30 e il 40%, e 359 gli ex-parlamentari che hanno subito un taglio al di sotto del 30%.

 

La retorica anticasta, tutta costruita sull’idea che i parlamentari sono cittadini come tutti gli altri, nasconde a tutti una verità palmare: non esiste un solo cittadino italiano a cui sia stata tagliata in modo permanente e consistente la propria pensione.

 

Una verità palmare che ne rende chiara un’altra: che nelle persone degli ex parlamentari si è voluto colpire la dignità, la liberta e l’autonomia del Parlamento e della funzione parlamentare.

 

 

 

  1. Come sapete dalle informazioni che vi abbiamo inviato, oggi si conclude il ciclo di udienze nelle quali si sono discussi i nostri ricorsi.

 

Il programma di udienze del Senato, previsto per il 10, l’11 e il 13 giugno subirà uno slittamento a causa di un ricovero urgente per motivi di salute del giudice relatore. La previsione è che le udienze si tengano verso la fine del mese.

 

A termini di Regolamento per la tutela giurisdizionale della Camera dei “la sentenza è depositata nei 20 giorni successivi all’udienza di trattazione presso la segreteria del Consiglio”.

 

L’esperienza ci dice che quel termine, raramente viene rispettato. Da parte nostra faremo quanto è possibile perché, invece, lo sia.

 

Dal momento del deposito dei ricorsi sono accadute molte cose che danno ulteriore forza agli argomenti utilizzati dagli avvocati difensori per contestare la legittimità della delibera adottata dagli Uffici di Presidenza di Camera e Senato.

 

Fatti che non abbiamo mancato di segnalare e di commentare sul sito web della nostra Associazione (la sentenza del Giudice di Milano su un ricorso presentato da un ex-consigliere regionale, l’Intesa Stato-Regioni sui vitalizi regionali, il pronunciamento della Corte costituzionale in materia di retroattività, relativa a una legge della Regione Trentino-Alto Adige).

 

Sappiamo che i giudici interni che dovranno pronunciarsi sui nostri ricorsi sono espressione in tutto o in parte, come al Senato, di gruppi parlamentari.

 

Ma sono in tutto e per tutto, al di la dei loro orientamenti politici, giudici con i poteri, i doveri e le responsabilità che la legge assegna loro, a cominciare dal dovere dell’imparzialità.

 

Il nostro appello ai giudici è che esercitino la loro funzione facendo prevalere la logica del diritto e non la logica della politica.

 

Se questo accadrà potremo guardare con ottimismo all’esito di questa vicenda, perché segnerà un punto non tanto a nostro favore ma a favore della libertà e dell’autonomia della funzione parlamentare e del Parlamento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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