DEMOCRAZIA E LIBERTA’
L’IMPEGNO DEGLI EX-PARLAMENTARI
CONTRO L’ATTACCO
AL PARLAMENTO E ALLO STATO DI DIRITTO
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ASSEMBLEA GENERALE DELL’ASSOCIAZIONE DEGLI
EX PARLAMENTARI DELLA REPUBBLICA
ROMA, 11 DICEMBRE 2018
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RELAZIONE DEL PRESIDENTE, SEN. ANTONELLO FALOMI
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Cari Colleghi e care Colleghe,
Innanzitutto, grazie per essere qui e per il contributo che date alla vita della Associazione.
Come avete visto anche il Senato ha proceduto il 16 ottobre scorso ad adottare la stessa identica deliberazione adottata dalla Camera.
L’azione di resistenza che era venuta dal Senato e si era tradotta in una richiesta di parere al Consiglio di Stato è rapidamente terminata, dopo le ferie estive, senza tenere in alcun conto, tra l’altro, del parere richiesto.
Valgono, quindi, le stesse considerazioni di merito già svolte sulla Deliberazione della Camera dei deputati.
In questa fase la parola sta passando agli avvocati ed ai giudici.
Con il preziosissimo contributo del Collega Peppino Gargani, a cui va tutto il nostro ringraziamento, noi stiamo coordinando le azioni per il ricorso anche al Senato.
Quasi 2000 i ricorsi contro le delibere di ricalcolo retroattivo dei vitalizi
Ad oggi i ricorsi depositati o in via di deposito al Senato sono circa 700 che si vanno ad aggiungere agli oltre 1270 già presentati alla Camera dei deputati.
Ovviamente ulteriori ricorsi saranno possibili anche quando a fine gennaio dell’anno prossimo arriveranno a ciascuno di noi i cedolini dei vitalizi decurtati.
Anche al Senato come già avvenuto per la Camera, anche su nostra sollecitazione, sta arrivando in questi giorni una comunicazione con la quale si da conto dei dati personali che riguardano gli ex-senatori e le ex-senatrici, l’indennità percepita, i contributi versati, i riscatti, con l’indicazione provvisoria dell’importo ricalcolato del vitalizio.
I tagli sono molto consistenti soprattutto per le persone molto anziane che hanno fatto i parlamentari in epoche lontane e che il meccanismo studiato da Boeri e fatto proprio dagli Uffici di Presidenza di Camera e Senato penalizza più violentemente (tagli del 60 – 85%).
Tenete conto che ci sono ancora delle questioni aperte che abbiamo intenzione di sollevare presso il Collegio dei Questori.
L’articolo 5 delle deliberazioni approvate da Camera e Senato attribuisce ai Collegi dei Questori il compito di affrontare e risolvere problemi di interpretazione e di attuazione delle disposizioni in esse contenute.
Ferme restando tutte le censure ai profili di incostituzionalità delle delibere, molto bene illustrate ed evidenziate nel parere pro-veritate del Presidente emerito della Corte Costituzionale, Prof. Cesare Mirabelli, ci sono questioni interpretative che, secondo la nostra opinione, meritano di essere affrontate.
Le delibere Fico-Boeri, questioni interpretative: reversibilità, periodi di sospensione, imposte versate sui contributi
Un primo tema fa riferimento ai periodi di sospensione dei vitalizi quando l’ex-parlamentare assume incarichi istituzionali nel Parlamento europeo, nei Consigli e nelle Giunte regionali o diventa Sindaco di città con popolazione superiore a una certa soglia.
Su questa questione la delibera non dice nulla con il risultato, però, di produrre effetti paradossali ed evidenti disparità di trattamento tra chi, dopo aver cessato il mandato, è stato eletto in altre istituzioni e chi, invece, non lo è stato.
A tutti e due si ricalcola il vitalizio in base all’età che avevano al momento del percepimento del primo assegno vitalizio che, come è noto, nel sistema contributivo è un criterio molto importante per determinare l’ammontare della pensione, senza tenere in nessun conto che per uno dei due il vitalizio è stato sospeso per diversi anni.
La seconda questione da sollevare riguarda la reversibilità.
Solo a partire dal 1994 è stato introdotto per i parlamentari un contributo facoltativo del 2,10% dell’indennità parlamentare per rendere il vitalizio reversibile.
Prima di quella data si aveva diritto alla reversibilità senza versare alcun contributo aggiuntivo perché così prevedevano i regolamenti previdenziali.
Questo spiega perché chi ha fatto il parlamentare prima di quella data subisce, a parità di legislature e di età anagrafica, tagli molto più pesanti.
Comunque, per noi è pacifico che, a prescindere dal versamento o meno dei contributi facoltativi, tutti i vitalizi ricalcolati diano titolo alla reversibilità, così come accade per tutti i cittadini italiani.
Ai Questori toccherà pronunciarsi sulle questioni interpretative
Tuttavia, una parola di chiarezza su questo argomento deve venire dai Collegi dei Questori di Camera e Senato.
Vi è inoltre una terza questione aperta, quella della restituzione delle tasse pagate.
Se si si vuole imporre, con la forza di una maggioranza parlamentare, il ricalcolo retroattivo con metodo contributivo dei nostri vitalizi, non si può sfuggire alla considerazione che nel sistema contributivo i contributi versati, a differenza di quanto avveniva per quelli versati dai che parlamentari, sono esenti da tassazione.
La conseguenza inevitabile è la restituzione agli ex-parlamentari delle tasse pagate in più.
Secondo stime fatte dagli Uffici si tratta di restituire circa 154 milioni di euro.
Sostengono gli Uffici che il problema della restituzione delle tasse esiste ma che non sono le Camere a dover restituire queste somme ma l’Agenzia delle Entrate.
Ciò sarebbe vero se la decisione di modificare retroattivamente il sistema previdenziale vigente in passato fosse stata presa dalla Agenzia delle Entrate o fosse stata presa con una legge e non, come illegittimamente avvenuto, con una deliberazione degli Uffici di Presidenza.
L’onore della restituzione delle tasse in più pagate spetta a chi ha preso la decisione perché è dalla sua decisione che è sorto il problema.
Per evitare il sorgere di un caso di appropriazione indebita c’è un solo modo: tornare alla logica dei contributi di solidarietà o, in alternativa, cancellare ogni retroattività e far decorrere il ricalcolo quantomeno dall’età anagrafica di ognuno di noi al momento della esecutività della deliberazione.
Su questo siamo pronti a confrontarci.
Vi sono, infine, altre due questioni riguardanti problemi di interpretazione e di attuazione.
Altre questioni aperte: condizioni drammatiche di reddito e salute e la gradualità di applicazione per impegni già assunti
Il primo riguarda la sostanza dell’articolo 1 della deliberazione che assegna al Collegio dei Questori il compito di incrementare del 50% l’ammontare del vitalizio ricalcolato in rapporto in presenza di condizioni drammatiche di reddito e di salute.
Trattandosi di requisiti che hanno finalità diverse, è del tutto evidente, per noi, che ciascuno di essi agisca indipendentemente dall’altro. Per evitare che una interpretazione diversa, è necessario che i Collegi dei questori facciano chiarezza.
La seconda questione riguarda l’esigenza di una gradualità attuativa rispetto alla data del 1° gennaio 2019 per quelle situazioni che richiedono più tempo per essere affrontate.
Mi riferisco, ad esempio, a quanti hanno utilizzato il vitalizio a garanzia di contrazione di mutui o per la cessione del quinto. Un differimento dei termini temporali in sede attuativa ci sembra una cosa giusta e ragionevole.
Ovviamente senza nulla togliere alla battaglia in sede giudiziaria che si sta avviando.
Le richieste di sospensiva per danni irrimediabili e la questione della “terzietà” della giurisdizione interna
Oggi si riunisce per la terza udienza il consiglio di giurisdizione della Camera dei Deputati per esaminare le richieste di sospensiva relative a persone che senza la sospensione della deliberazione potrebbero subire danni irrimediabili perché non possono attendere l’esito del ricorso.
Si tratta di un centinaio di persone in condizioni di salute molto precarie e con situazioni economiche molto difficili.
Persone bisognose di assistenza domiciliare o che vivono in case di riposo che con il vitalizio pesantemente decurtato non sarebbero più in grado di pagare chi li assiste.
Noi speriamo che entro il mese di dicembre o ai primi di gennaio queste persone ricevano una risposta positiva.
Al di là dell’esito delle richieste sospensive, noi auspichiamo che in tempi molto rapidi, sia alla Camera che al Senato, vengano fissate le udienze per affrontare il merito dei ricorsi presentati.
C’è molta preoccupazione tra noi sulla terzietà dei giudici interni chiamati a pronunciarsi.
Abbiamo tutti presenti le cose dette in proposito dal Vicepresidente Di Maio sull’autodichia.
Sappiamo che non è facile distinguere tra l’appartenenza politica e il ruolo di componente di un organo giurisdizionale.
Ma i giudici non possono non sapere quanto è stato scritto in numerose sentenze della Corte costituzionale e della Corte di giustizia europea sul fatto che gli organi dell’autodichia hanno la stessa natura e funzione degli organi giudiziari e i parlamentari chiamati a giudicarci sono giudici a tutti gli effetti.
Hanno cioè lo stesso potere e le stesse responsabilità dei giudici ordinari, compresa quella della responsabilità civile in presenza di violazioni grossolane e macroscopiche.
Al di là delle parole irresponsabili di Di Maio, noi confidiamo nella capacità dei giudici di distinguere tra questioni politiche e questioni giuridiche.
Gli sforzi dell’Associazione per spiegare le nostre ragioni a istituzioni e opinione pubblica
Lo sforzo fatto nella fase che abbiamo alle spalle è stato quello di cercare convincere le forze politiche presenti in Parlamento, le istituzioni che dovevano decidere e la stessa opinione pubblica, sulle nostre buone ragioni.
A questo scopo abbiamo sviluppato una imponente mole di iniziative.
Il mondo politico istituzionale è stato inondato di documenti per spiegare la nostra posizione.
Li abbiamo inviati ai parlamentari, ai segretari di partito, agli organi istituzionali, ai Presidenti delle Camere, agli Uffici di Presidenza.
Abbiamo partecipato ad audizioni presso le Commissioni di Camera e Senato.
Tutta la documentazione prodotta è stata portata a conoscenza del Presidente della Repubblica.
Abbiamo sviluppato anche un intenso lavoro nei confronti dei media, inviando tutto il materiale prodotto ai direttori dei giornali, alle testate radiofoniche e televisive.
Abbiamo potenziato col nuovo sito web la nostra capacità di comunicazione e l’imponente mole di documentazione che si può trovare sul sito lo testimonia e di questo debbo ringraziare l’On. Mario Barbi senza il cui lavoro volontario il sito web non sarebbe potuto esistere.
Abbiamo, inoltre, cercato più spazio nel sistema dei media attraverso interviste sui giornali, articoli, interviste radiofoniche e televisive, partecipazione ai talk show.
Abbiamo fatto sforzi per promuovere un collegamento più intenso con le forze intellettuali che più hanno avvertito i pericoli insiti in questa campagna di attacchi ai vitalizi.
Una parte significativa e autorevole della scienza giuridica ci è stata vicina con prese di posizione, articoli e partecipando a incontri pubblici nazionali e locali come quello del maggio scorso su “Democrazia rappresentativa e populismi”.
Tutto questo lavoro è stato fatto volontariamente e gratuitamente da un nucleo ancora troppo ristretto di soci che sui territori e nazionalmente tengono viva l’attività dell’Associazione.
A tutti loro va il mio più sentito ringraziamento per il supporto che mi hanno dato e hanno dato a tutti noi. Un grazie particolare va ai miei più stretti collaboratori, il Vicepresidente vicario Paolo Caccia, Il Segretario Franco Proietti e il Tesoriere Michele Zolla.
Un ringraziamento lo debbo anche al personale che ha fronteggiato in questi mesi una mole di lavoro molto elevato.
Grazie all’enorme mole di lavoro fatto avvertiamo un diffuso clima di fiducia nell’associazione.
Lo testimonia il significativo aumento del numero degli iscritti.
Oggi siamo a 2.800 soci, con un aumento dall’inizio del 2018 del 21% dei soci paganti. Ma di questo vi parlerà tra poco il nostro Tesoriere Zolla.
La nostra battaglia aiuta i pensionati a favorisce soluzioni ragionevoli nei Consigli regionali
Il grande lavoro fatto non è riuscito, tuttavia, come era accaduto la scorsa legislatura con la legge Richetti, a bloccare l’adozione delle delibere sui vitalizi. Ha prevalso sulla ragionevolezza la logica propagandistica e la deriva antiparlamentare.
Certo si poteva fare di più e meglio ma nelle condizioni date penso che abbiamo fatto tutto quello che dovevamo e potevamo.
Credo sia anche frutto della nostra battaglia che il tentativo di trasferire sui pensionati italiani e sulle Regioni misure ispirate alla stessa logica che ha ispirato il taglio dei vitalizi, stia segnando il passo.
Diversi Consigli regionali stanno adottando, in aperto contrasto con la logica punitiva del ricalcolo retroattivo con metodo contributivo dei vitalizi regionali, “contributi di solidarietà”, definiti persino da consiglieri del M5S più coerenti con i principi costituzionali.
L’Assemblea tenutasi il 30 novembre scorso dei Presidenti dei Consigli regionali ha chiesto che sia cancellata la norma, contenuta nella manovra finanziaria 2019, dell’estensione del ricalcolo contributivo anche agli ex-consiglieri regionali.
Al tempo stesso il disegno di legge a firma dei Capigruppo del M5S e della Lega per estendere ai cosiddetti “pensionati d’oro”, il metodo del ricalcolo contributivo retroattivo, dopo essere stato trionfalmente annunciato è finito nei cassetti della Commissione lavoro della Camera.
E oggi si parla, invece, di “contributi di solidarietà” o di blocco della rivalutazione monetaria.
Tra le forze politiche, cioè, si stanno aprendo delle brecce.
Le stesse brecce che si stanno aprendo nell’opinione pubblica.
Sul nostro sito e con una newsletter che inviamo a tutti quelli che si sono iscritti, noi diamo conto ogni giorno, con una rassegna stampa quotidiana di tutto ciò che viene detto e scritto sui vitalizi.
Andiamo ancora contro-corrente, ma affiorano dubbi e si aprono brecce: agli insulti di Di Maio ha risposto una querela di 300 ex-parlamentari
Certamente il clima che viviamo da anni non si è rovesciato.
Però sentiamo che le voci critiche stanno crescendo.
Nonostante l’enorme disparità dei mezzi a disposizione, noi dobbiamo continuare la nostra battaglia per convincere l’opinione pubblica delle nostre buone ragioni.
Dobbiamo smontare, senza perderci d’animo, la narrazione falsa che è stata fatta delle nostre prerogative costituzionali.
Il Vice-Presidente del Consiglio, on. Luigi Di Maio, ha spiegato, con l’eleganza che gli è propria, il taglio dei vitalizi perché gli ex-parlamentari sarebbero “ladri di privilegi”, “parassiti sociali”, gente che “per anni ha mangiato sulle spalle dei cittadini”, “ex-disonorevoli”, “che non conoscono vergogna” e “che dovrebbero andarsi a nascondere il più lontano possibile, magari su un eremo”.
Il legittimo esercizio del diritto di critica politica qui non c’entra niente.
Siamo di fronte a insulti gratuiti, gravemente offensivi dell’onore e della dignità personale degli ex-parlamentari, a cui si può rispondere, come è stato fatto da oltre 300 ex-deputati, soltanto con una querela.
Ci sono, però, considerazioni politiche che non possiamo omettere di fare.
Innanzitutto, a proposito del linguaggio usato da chi ricopre rilevanti incarichi istituzionali.
Non si tratta tanto di sgrammaticature dell’etichetta istituzionale.
Siamo di fronte ad un linguaggio violento, offensivo, perentorio e sloganistico che fa suonare campanelli d’allarme sui pericoli che si corrono quando proviene soprattutto da persone che dispongono di rilevantissimi poteri pubblici che possono essere piegati alla cultura politica che dietro a quel linguaggio si nasconde.
Sarebbe drammatico se le aule parlamentari, le sedi del Governo si trasformassero nelle piazze del “vaffaday” e se il linguaggio della politica si confondesse con il linguaggio degli haters speech, il linguaggio dell’odio che infesta la rete e i social.
Contro di noi sono state usate parole per stampare “virtualmente” sulla fronte di ciascuno di noi, in quanto appartenente ad una specifica categoria di cittadini, un marchio di infamia.
Nelle parole di Di Maio ritrovo la stessa logica che ha ispirato e ispira ogni legge di stampo razziale: non ti punisco per quello che fai o che hai fatto, ti punisco per quello che sei.
Contro gli “ex” inaccettabili violenza di linguaggio e intenti punitivi
Non importa se da parlamentare ti sei comportato onestamente o se sei stato un disonesto; non conta nulla quello che hai fatto quando sei stato in maggioranza o quando sei stato all’opposizione. Non interessa se per assolvere a un servizio al Paese hai rinunciato alla tua vita professionale o magari a condizioni economiche più promettenti.
Tutto questo non ha importanza.
Io ti punisco perché sei un ex-parlamentare.
Non a caso la punizione che ci é stata riservata - il ricalcolo retroattivo con metodo contributivo - é stata pensata e attuata solo ed esclusivamente per gli ex-parlamentari e per gli ex-consiglieri regionali.
Persino sul concetto di “pensioni d’oro” vengono adoperati due pesi e due misure.
Se si tratta di cittadini la pensione è d’oro se supera i 4.500 euro netti al mese.
Se, invece, si tratta di ex-parlamentari - il cui vitalizio medio mensile, come è noto, sta attorno ai 3.600 euro netti - la pensione è comunque d’oro. Non ci sono soglie, Si taglia e basta, come se fossimo dei ladri a cui chiedere di restituire il maltolto.
É evidente che l’obbiettivo non è fare giustizia ma “giustiziare” una intera categoria di cittadini il cui unico torto è quello di aver fatto i parlamentari.
Sappiamo tutti che le ingiustizie e le diseguaglianze sociali possono generare rabbia, protesta, odio e anche desiderio di vendetta.
Ma il compito di una classe politica degna di questo nome non é quello di cavalcare e alimentare questi sentimenti, offrendo in pasto ai cittadini la testa degli ex-parlamentari su cui scaricare e soddisfare il loro bisogno di vendetta.
Perché, come, sappiamo chi semina odio, raccoglierà tempesta.
Una vera classe politica risponde al bisogno di giustizia con politiche e misure che contrastino sul serio le diseguaglianze.
Ma non mi pare di vederne molte all’orizzonte.
Il linguaggio usato dal contro di noi è espressione di quel misto di aggressività, violenza e risentimento, così ben descritto nel rapporto CENSIS sulla società italiana presentato qualche giorno fa.
É un linguaggio che degrada la politica e i luoghi della politica.
É un linguaggio che non può e non deve trovare accoglienza.
Nel linguaggio della politica non possono essere accolti messaggi insultanti e oltraggiosi.
É un dovere che sentiamo nei confronti dei tanti ex-parlamentari che hanno servito le istituzioni democratiche e il Paese con onore e disciplina.
Difendiamo con orgoglio chi ha servito e costruito la Repubblica
A chi ci definisce “ladri”, “parassiti che campano alle spalle della povera gente”, con orgoglio voglio ricordare che sono stati ex-parlamentari partigiani che hanno combattuto contro il nazifascismo, quelli che hanno scritto la Costituzione italiana, i tanti che hanno ricostruito, chi dalla maggioranza chi dall’opposizione, un Paese ridotto in macerie dalla guerra e ne hanno garantito per decenni crescita economica, diritti sociali e civili.
E non posso dimenticare quelli che non hanno fatto in tempo a diventare ex perché in ragione del loro impegno istituzionale sono stati assassinati: Aldo Moro, Pio La Torre, Roberto Ruffini, Piersanti Mattarella.
Quello che fa più male in questa storia di tagli è il modo vergognoso con cui sono trattati gli ex-parlamentari più anziani, quelli che hanno svolto la loro attività nelle prime otto legislature.
Come é possibile ridurre in povertà con tagli che vanno dal 60% all’85%, uomini e donne ultra-ottantacinquenni?
La Storia della Repubblica è fatta di questi uomini e di queste donne.
Il Presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, a differenza del suo capo politico Di Maio che preferisce insultare, ha tentato di giustificare la delibera sul taglio dei vitalizi, adducendo ragioni di equità sociale.
Se ci si riferisce all’esigenza che gli ex-parlamentari italiani siano trattati allo stesso modo di tutti i pensionati, possiamo affermare, senza paura di essere smentiti, che in Italia non esiste nessun pensionato a cui sia stata tagliata in modo consistente e permanente la pensione.
Nelle tante trasmissioni televisive a cui ho partecipato ho chiesto, invano, al conduttore televisivo di turno di usare i potenti mezzi di cui dispone per scovare, in giro per l’Italia, un tale pensionato.
Il fatto che non ne sia stato trovato nessuno, significa solo che gli ex-parlamentari sono stati trattati molto ma molto peggio di qualsiasi pensionato italiano.
Se si fosse voluto, sul serio, trattare gli ex-parlamentari come tutti i pensionati italiani, sarebbe stato sufficiente, come si è fatto per tutti gli italiani prima con la riforma Dini e poi con la riforma Fornero, stabilire che i diritti acquisiti non sarebbero stati toccati e che le nuove regole di calcolo delle pensioni riguardassero solo il futuro e non il passato, come hanno, invece, più correttamente fatto la Camera e il Senato nel 2012 con la riforma del trattamento previdenziale dei parlamentari.
Per contrastare questo argomento, si è sentito spesso dire, soprattutto nei talk show televisivi, che la riforma Fornero avrebbe inciso sui diritti acquisiti. Niente di più infondato!
La riforma Fornero è intervenuta solo sulle aspettative di diritti, cioè su diritti in fase di maturazione, come, ad esempio, il requisito anagrafico necessario per andare in pensione.
Gli ex-parlamentari sono gli unici a essere stati puniti con il ricalcolo retroattivo: sui pensionati il governo finora ha fatto marcia indietro
Nessun diritto già maturato è stato colpito. A nessuno pensionato italiano è stato detto che essendo andato in pensione a una età più bassa di quella stabilita dalla legge Fornero e godendo di un sistema di calcolo retributivo, più favorevole del contributivo, gli avrebbero ricalcolato retroattivamente, secondo le nuove regole, il trattamento di quiescenza.
È solo in questa chiave che si spiega la clamorosa marcia indietro della maggioranza governativa sulle cosiddette “pensioni d’oro”.
La proposta di ricalcolare e tagliare, come si è fatto per gli ex-parlamentari, tutte le pensioni superiori a 5.000 euro netti mensili, si è infranta contro ostacoli costituzionali insuperabili.
Si è partiti con l’idea, strombazzata ai quattro venti, di ricalcolare quelle pensioni in base ai contributi effettivamente versati.
Poi si è passati rapidamente al disegno di legge M5S-Lega che tagliava i trattamenti previdenziali senza prendere in nessuna considerazione ciò che si era realmente versato.
Infine, altrettanto rapidamente, si è deciso di chiudere in un cassetto della Commissione lavoro della Camera quel disegno di legge e si è cominciato a parlare di “contributo di solidarietà”, cioè, proprio di quello strumento che la nostra Associazione ha proposto in alternativa alle misure prese dagli Uffici di Presidenza di Camera e Senato.
Se per equità sociale si intende eguale trattamento per tutti i pensionati italiani, coerenza vuole che la Presidente del Senato Casellati e il Presidente della Camera Fico sospendano le deliberazioni di ricalcolo dei vitalizi e aprano con noi un confronto vero sul “contributo di solidarietà”.
Se, invece, quando si parla di equità sociale, si vuol fare riferimento all’esigenza e alla necessità di uno sforzo e di una battaglia per ridurre la disuguaglianza nella nostra società, allora diciamo con chiarezza che di fronte a questa esigenza gli ex-parlamentari non sono né sordi, né muti, né ciechi.
L’equità sociale è un impegno per tutti e non si fa con la demagogia
Non lo siamo per diverse ragioni.
Non lo siamo, innanzitutto, per la storia politico-parlamentare di molti di noi.
Non sono pochi tra noi quelli che vengono da una esperienza di impegno politico e istituzionale fatta in gran parte in quella che un po' rozzamente è stata definita la “prima Repubblica”.
Una fase della nostra storia nella quale, nel fuoco di conflitti politici e sociali, si è riusciti a tenere insieme le ragioni della crescita dell’economia con le ragioni di una società più giusta.
Pensiamo a cosa hanno significato, in termini di equità sociale e di riduzione delle disuguaglianze, il voto alle donne, la riforma del latifondo e dei patti agrari, l’introduzione dell’obbligo scolastico e la scuola media unica, lo statuto dei diritti dei lavoratori, il passaggio delle pensioni dal sistema contributivo a quello retributivo e la loro estensione anche al lavoro autonomo, la nascita dell’autonomia regionale, l’estensione dell’assicurazione sanitaria a tutti i cittadini.
Altri di noi hanno, invece, iniziato e maturato la loro esperienza politico-parlamentare nelle nuove condizioni imposte dai processi di globalizzazione, di innovazione tecnologica, di finanziarizzazione dell’economia e di emergenza ambientale.
Anche loro, pur in un quadro profondamente mutato e nel contrasto forte delle posizioni, hanno mantenuto alta la tensione a costruire un più alto tasso di coesione sociale che solo una società più giusta può garantire.
Per questo noi non siamo insensibili all’idea di uno sforzo collettivo per ridurre le disuguaglianze che stanno alimentando il clima di risentimento e di rabbia sociale.
Ma questo sforzo per essere sul serio uno sforzo collettivo non può gravare soltanto sulle spalle di alcune particolari categorie di pensionati italiani. I pensionati non sono un bancomat da cui prelevare risorse finanziarie.
Non è possibile che uno come Di Maio che ha un reddito quattro volte superiore a quello dei pensionati cosiddetti d’oro, non debba rinunciare nemmeno a un euro del suo reddito per aumentare le pensioni minime degli italiani.
Se questo accade, vuol dire che non stiamo parlando, come si pretenderebbe, di equità sociale.
Stiamo facendo soltanto della retorica sull’equità sociale.
Se vogliamo uscire dalla retorica e fare sul serio qualcosa di concreto, noi non ci tiriamo indietro. Siamo pronti a fare la nostra parte.
Ma è una parte che tutti gli italiani debbono fare. In particolare, per affrontare e risolvere il più grave dei problemi che abbiamo di fronte: la disoccupazione giovanile, particolarmente nel Mezzogiorno.
Penso che sarà importante per l’Associazione impegnarsi nei mesi a venire su questo tema, con iniziative territoriali e nazionali.
Siamo convinti che ai giovani non serve assistenza, serve lavoro.
Attraverso di noi un attacco brutale a Parlamento, Stato di diritto e Democrazia liberale
Nella vicenda che ci ha coinvolto, come ci siamo detti tante volte e come è ben testimoniato dal parere illuminante del Prof. Cesare Mirabelli e dai quasi 2.000 ricorsi presentati dagli avvocati Besostri, Lentini, Paniz, Sorrentino e Sandulli, noi abbiamo assistito a un attacco brutale alla libertà e alla autonomia della funzione parlamentare, allo stato di diritto, a principi e valori fondamentali in una democrazia liberale.
Tutto ciò ci interroga: questo attacco così violento è riservato solo agli ex parlamentari?
Bisogna capire se c’è in atto qualcosa che in realtà mira ad estendere questa logica di stravolgimento di principi e valori costituzionali.
Io penso che ci siano delle parole e degli atti che dimostrano che l’attacco non riguarda solo noi.
Il linguaggio della politica per il contenuto di arroganza, di violenza, di insulto che contiene è già in sé un segnale preoccupante.
Le parole contano.
Il Parlamento è stato raccontato come espressione di una casta non come il luogo della rappresentanza popolare.
Quando viene annunciata la futura inutilità del Parlamento si semina veleno all’interno della società italiana.
Quando si fa l’attacco ai poteri del Capo dello Stato, siamo difronte a parole pericolose.
Anche l’attacco violento alla stampa è inaccettabile.
Non si può minacciare di azzerare i fondi che sostengono il pluralismo dell’informazione, grazie ai quali giornali come Avvenire o il Manifesto o come Radio Radicale possono sopravvivere, solo perché non sono allineati on la politica del governo.
Quando si dice che i sindacati vanno eliminati perché sono inutili come i partiti – affermazioni fatte da esponenti di governo - si ha in mente una idea di democrazia che non ha bisogno di corpi intermedi, che può fare a meno del pluralismo politico e sociale.
Ma a preoccuparci non ci sono solo le parole.
Ci sono dei fatti preoccupanti che stanno andando avanti.
Preoccupano progetti di riforma della Costituzione che indeboliscono il Parlamento e la democrazia rappresentativa
In questo momento alla Camera e al Senato, alle Commissioni affari costituzionali ci sono due riforme in discussione.
In apparenza sembrano contraddittorie ma in realtà hanno un denominatore comune.
Al Senato si sta discutendo ancora una volta una riforma costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari da 315 a 200 al Senato, da 630 a 400 alla Camera.
È un elemento che tende ad indebolire il rapporto eletto / elettore.
Un conto è operare su territori ristretti, un conto è operare su territori molto più vasti. I numeri fissati dalla Costituzione non sono numeri a caso.
Sono stati indicati per mantenere un rapporto stretto tra eletto e elettore.
Dopo l’abolizione di ogni forma di preferenza, si vuole rendere il Parlamento sempre meno espressione del corpo elettorale, con buona pace della partecipazione popolare di cui a sproposito ci si riempie la bocca.
Anche alla Camera è in discussione una proposta di riforma costituzionale presentata come rafforzamento della partecipazione popolare.
Per come è congegnata si tratta di una riforma costituzionale molto pericolosa.
È previsto un referendum propositivo senza una chiara delimitazione di materia e senza quorum, il che vuol dire che una minoranza di cittadini può imporre al parlamento una legge di iniziativa popolare.
Lo chiamano rafforzamento della legge di iniziativa popolare che è un istituto presente nella costituzione italiana ma che verrebbe trasformato.
Se 500 mila cittadini su una proposta di legge articolata come tale, raccolgono le firme, il Parlamento ha l’obbligo entro 18 mesi di esaminarla.
Se non la esamina o se la respinge, la proposta di iniziativa popolare è sottoposta automaticamente a un referendum.
Se, invece, il Parlamento la esamina e la modifica senza che sia d’accordo il comitato promotore, la proposta viene portata ad un referendum popolare in contrapposizione al testo del Parlamento.
Il quorum è la maggioranza dei voti validi.
Siamo, cioè, di fronte ad una minoranza di cittadini agguerrita che può imporre al parlamento, espressione della maggioranza, la sua volontà.
Questo è quello che si sta discutendo in nome della democrazia diretta e della partecipazione.
Anche per questa via, in realtà, si cerca di indebolire sempre più la democrazia rappresentativa.
Ma ci sono altre misure all’esame del Senato che sono in realtà distruttive di tutto ciò che è partecipazione organizzata dei cittadini alla vita politica.
In un provvedimento di lotta alla corruzione nella P.A. si sta discutendo la disciplina del finanziamento dei partiti politici.
La proposta legge vorrebbe introdurre una maggiore trasparenza nel finanziamento dei partiti e delle Fondazioni politiche ma si rischia, in realtà, di indebolire ulteriormente la possibilità dei partiti di fare politica costruendo attorno ad essi lacci e lacciuoli.
Forse sarebbe meglio ripensare l’idea della abrogazione del finanziamento pubblico.
E resta in campo il progetto inquietante del “vincolo di mandato”
Ci sono poi una serie di provvedimenti non incardinati nell’azione parlamentare tuttavia annunciati.
Il Ministro Fraccaro ha annunciato il “rafforzamento del mandato elettorale” che detto in altre parole mira far saltare l’art. 67 Costituzione. sul divieto di mandato imperativo del parlamentare che finisce per non essere più il rappresentante della nazione ma quello del partito.
Lo statuto del movimento cinque stelle si muove già in questa direzione.
Esso prevede, infatti, che i capigruppo siano indicati dal capo politico e che è il capo politico che indica la composizione del direttivo e che se si dissente, abbandona, ecc. bisogna pagare una multa di 100 mila euro.
Alla domanda se questa devastazione di principi costituzionali riguarda soltanto noi ex parlamentari o c’è qualcosa di più ampio possiamo rispondere che si tratta di qualcosa di più vasto.
Tutto ciò pone un’altra domanda.
Come può accadere che questo scempio della Costituzione e della democrazia parlamentare avvenga senza colpo ferire e, stando ai sondaggi, col consenso popolare?
Questo tema abbiamo cercato di affrontarlo nel convegno su populismi e democrazia rappresentativa.
Democrazia e libertà, l’orizzonte della nostra iniziativa
Penso che dobbiamo tornarci sopra facendo del rapporto tra democrazia e libertà non solo un terreno di ulteriore riflessione ma anche e soprattutto un terreno di iniziativa della nostra Associazione.
Il 25 gennaio prossimo a Napoli, faremo una prima grande iniziativa in questo senso.
Hanno già dato la loro diponibilità a partecipare il Prof. Massimo Cacciari e il Prof. Andrea Riccardi, il prof. Biagio de Giovanni, l’ex Direttore del Mattino, Alessandro Barbano e il giornalista del Corriere della sera, Paolo Franchi. Sono in corso le verifiche di disponibilità dello storico Luciano Canfora e del costituzionalista Sen. Massimo Villone.
Sarà un modo degno di cominciare a celebrare il 50° della nostra Associazione.
Cruciale per noi in questa fase è come riusciamo a far diventare le nostre riflessioni patrimonio dei cittadini italiani.
Abbiamo iniziato un lavoro con le grandi Fondazioni politico culturali, l’Istituto Gramsci, l’Istituto Sturzo, la Fondazione Einaudi, la Fondazione Nenni, le Fondazioni Magna Carta e Cercare ancora. L’obbiettivo è quello di costruire insieme, ciascuno nella propria autonomia, momenti e iniziative di approfondimento sulla crisi della democrazia rappresentativa.
È importante attivare interlocuzioni con il mondo della cultura che è un elemento importante nella formazione dell’opinione pubblica. ma anche questo non è sufficiente.
Dobbiamo andare oltre il dibattito tra esperti.
Dobbiamo riprendere l’esperienza nelle scuole.
Dalle esperienze fatte in Campania, nel Lazio, Emilia-Romagna, nelle Marche, emerge una gran interesse degli studenti e degli insegnanti sulle questioni che riguardano la democrazia e il funzionamento delle istituzioni.
Abbiamo tentato un accordo con la Ministra Fedeli che non ha avuto il coraggio di dare il via ad una bozza di convenzione con l’Associazione. Dobbiamo ritentare.
Dobbiamo attrezzarci anche per utilizzare di più di quanto non facciamo le enormi potenzialità della rete.
Si tratta di una potenza mediatica di cui non abbiamo piena consapevolezza. Dobbiamo parlare anche attraverso questo strumento.
Forse, oltre che nelle scuole e nelle Università, se vogliamo parlare ai giovani è nella rete che dobbiamo andarli a cercare.