Con un'ampia e partecipata presenza si è svolta stamani, venerdì 23 giugno 2023, nell'Auletta dei Gruppi della Camera dei Deputati, l'Assemblea ordinaria semestrale dell'Associazione degli ex parlamentari della Repubblica.
Introdotta dalla relazione del Presidente, on. Peppino Gargani, su proposta del Presidente stesso, la Presidenza dell'Assemblea è stata affidata al sen. on. Enrico La Loggia, coordinatore dell'Associazione in Sicilia.
Gargani ha quindi svolto la relazione introduttiva , sull'attività e i programmi dell'Associazione, seguita dalla presentazione del bilancio consuntivo 2022 da parte del tesoriere, on. Gino Alaimo, che è stato approvato all'unanimità. Nella discussione, seguita alla relazione del Presidente Gargani, sono intervenuti i colleghi: Enrico La Loggia, Giuseppe Soriero, Enzo Palumbo, Beppe Facchetti, Valter Bielli (che si è soffermato, tra l'altro, sulla drammatica situazione della Romagna post-alluvione), Giovanni Zarro, Mario Tassone, Luigi Grillo, Salvatore Sparacino, Antonello Falomi, che hanno attirato l'attenzione su diversi aspetti dell'attività in corso e delle iniziative programmate per i prossimi mesi, convenendo tutti sulla necessità di potenziare la presenza dell'Associazione nel dibattito pubblico sulle questioni attinenti il rafforzamento del Parlamento e della democrazia italiana.
Qui di seguito pubblichiamo la relazione integrale del Presidente Gargani.
ASSEMBLEA GENERALE DEI SOCI 23 GIUGNIO 2023
RELAZIONE DEL PRESIDENTE GIUSEPPE GARGANI
Questa è la prima assemblea dopo il congresso del dicembre scorso e dopo la nomina, il 12 gennaio u.s., della nuova dirigenza. La quale, lo abbiamo ripetuto in tutte le riunioni, ha come obiettivo e come metodo quotidiano il documento approvato da tutti voi con un programma preciso che ho commentato e ricordato nelle varie riunioni del direttivo e degli uffici di presidenza e a cui rimando. Quelle relazioni e quei dibattiti proficui e utili sono un patrimonio dell’Associazione.
Quel programma vogliamo attuare per confermare la funzione preziosa e le finalità che l’Associazione vuole perseguire.
Il direttivo e tutti noi siamo consapevoli del valore dell’unità invocata e verificata in tutte le nostre azioni e riconfermata al Capo dello Stato che nel mese di gennaio ci ha prontamente ricevuti e al quale abbiamo manifestato l’intenzione di incidere nel panorama politico, intervenendo con metodo, con discrezionalità, facendo leva sulla nostra esperienza e sulla rappresentanza che abbiamo esercitato in un periodo di raccordo virtuoso tra i cittadini e le istituzioni. Rivolgiamo pertanto un ringraziamento e un saluto al Capo dello Stato.
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La relazione che sto per svolgere è fatta da me, ma è collegiale, del gruppo dirigente, per cui non dirò solo argomentazioni personali, ma esprimerò il pensiero che ho registrato attraverso incontri quotidiani con Bielli, Alaimo, Barbi con i componenti dell’ufficio di presidenza, con i componenti del direttivo ma anche con incontri regionali che abbiamo fatto in Veneto, Emilia-Romagna, Campania, Liguria, Piemonte, davvero importanti per la partecipazione, per l’entusiasmo e la collaborazione dei partecipanti.
Avevamo immaginato una organizzazione più puntuale delle Regioni e continueremo ad essere presenti anche in tutte le altre Regioni per fine anno in modo che possiamo avere responsabili operativi in tutte le Regioni e fare altri programmi per il prossimo anno.
La mia relazione dunque terrà conto di questi importanti contributi ma verrà integrata dai contributi di Barbi, Bielli e Alaimo e soprattutto dal vostro contributo. Dobbiamo dar conto a voi dell’azione di questi mesi, delle finalità che vogliamo raggiungere e non potrò non prospettare a voi la situazione politica e istituzionale nella quale ci troviamo e rispetto alla quale credo non dovremmo stare inerti, ma prendere iniziative anche se possono sembrare velleitarie; ma pur sempre utili, al di là dell’efficacia immediata. Ho detto l’altra volta che la mia particolare affezione a De Sanctis nato nel mio paese e a Benedetto Croce della mia Regione mi porta a credere fortemente nella classe dirigente, nella sua attività culturale, di orientamento proprio nei momenti di smarrimento della società, di mancanza di ideali, di mancata solidarietà che fa prevalere il personalismo e il rancore non solo nella politica, come è quello attuale.
Questo ruolo lo abbiamo esercitato con notevole successo negli anni passati sotto la direzione illuminata di Antonello Falomi sul tema istituzionale dei vitalizi e sulla attività complessa e difficile che abbiamo svolto.
Con l’unità di intenti del gruppo dirigente che comprendeva anche me, con i consigli degli avvocati ma anche con i consigli che davamo noi a loro, abbiamo raggiunto parziali ma importanti risultati.
Ora per superare l’ultimo miglio stiamo trovando difficoltà maggiori e assicuro subito che il nostro impegno è accentuato.
Pensavo ragionevolmente di essere in grado il 23 giugno di commentare con voi la sentenza definitiva che aspettiamo dalla Camera e dal Senato dal mese di ottobre, e per intrighi, cattiva volontà di qualche componente del comitato di garanzia, e forse questa volta forse non per ragioni politiche, non si riesce ad ottenere. Noi abbiamo sconfitto la pretesa del vecchio ufficio di presidenza di umiliare il nostro prestigio e la nostra autonomia perché lo stesso personale di quei comitati giudiziari hanno dovuto arrendersi di fronte alle nostre limpide argomentazioni.
Sappiamo che il più è fatto, ma abbiamo il problema del 50% dei nostri colleghi che è ancora in difficoltà e io, noi non ci arrendiamo perché dobbiamo far trionfare la civiltà del diritto, cioè dobbiamo far stabilire che la legittima aspettativa come principio costituzionale inderogabile che è sempre stato rispettato, escluso che per gli ex parlamentari.
Voi sapete che il mio ottimismo sulla prospettiva è stato costante e a volte si è scontrato con il pessimismo di qualcuno.
Ma continuo a ritenere che con la pazienza necessaria concluderemo la fase del contenzioso. Non posso non dirvi che l’Ufficio di Presidenza della Camera e del Senato è ben altra cosa rispetto a quello precedente, per cui i rapporti, anche con la struttura dei presidenti delle Assemblee, sono molto cordiali e come vi dirà l’on. Alaimo ci porterà vantaggi.
Recepiscono qualche polemica che continua ancora in rete e per ultima una richiesta della collega Carloni ben documentata.
Vi sono molti problemi aperti sul piano fiscale, sul piano della rivalutazione dei vitalizi che potremmo valutare con chiarezza solo a seguito della sentenza definitiva, dopodiché chiederemo formalmente ai presidenti del Parlamento di essere ricevuti e faremo le nostre richieste.
Da troppo tempo assistiamo a una perdita di prestigio della figura del "parlamentare", a cui corrisponde il venire meno della fiducia nel "Parlamento" da parte dei cittadini come ha scritto a chiare lettere Barbi.
Purtroppo dall'istituzione Parlamento che è la pietra angolare del sistema democratico repubblicano, sede della sovranità popolare, molti cittadini non si attendono più che sia luogo di sintesi e di elaborazione dei problemi del paese, centro delle scelte strategiche che riguardano il suo futuro.
Porvi rimedio richiede la volontà del Parlamento di recuperare pienamente il ruolo che la Costituzione gli assegna.
Ci si sarebbe potuti aspettare che la riduzione del numero dei parlamenti - così improvvida per il modo e per le motivazioni in cui è stata portata a termine - almeno un risultato positivo lo avrebbe prodotto: quella di rivalutare e riqualificare la funzione parlamentare. Non è successo nemmeno questo.
A tutto questo abbiamo reagito con garbo ma con fermezza.
Le indennità parlamentari non solo sono bloccate da ormai quasi venti anni, ma non sono nemmeno rivalutate tenendo conto dell'andamento dell'inflazione.
Eppure, il Parlamento ha fatto moltissimo per adattare i trattamenti economici e previdenziali dei suoi componenti all'andamento generale dell'economia e delle retribuzioni, non certo entusiasmante da almeno un quindicennio a questa parte: dal blocco e riduzione delle indennità fino al passaggio al sistema contributivo dei trattamenti previdenziali. Invece, ha anche avuto l'ardire di compiere un esperimento senza precedenti come il ricalcolo retroattivo dei vitalizi con metodo contributivo. Una cosa che grida ancora vendetta.
Noi, come ex parlamentari, riteniamo che si debba restaurare il prestigio della funzione parlamentare tornando a collegare i trattamenti di deputati e senatori a quello dei magistrati e tornando a ristabilire un rapporto di colleganza e di continuità nei trattamenti tra parlamentari in carica ed ex-parlamentari, come peraltro prevede la riforma previdenziale del 2012.
In tale senso, riteniamo utile ricordare come resti un'aspirazione, in sé riconosciuta ma priva di base istituzionale, quella della compartecipazione degli ex parlamentari alla gestione dell'assistenza sanitaria e ai vari meccanismi e dispostivi previdenziali, come quelli inerenti il rapporto conflittuale su alcune materie con l'INPS.
Questo tanto per accennare alle cose più importanti ma Barbi con più puntualità vi spiegherà meglio.
Il "taglio dei vitalizi" effettuato dal vecchio Ufficio di Presidenza è già un fallimento, anche se il contenzioso non è ancora concluso.
Il risparmio conseguito sul monte vitalizi, infatti, si è già ridotto dal 35% al 10%.
Nel prosieguo della vertenza c'è il rischio, che se non si annullasse il ricalcolo contributivo, la spesa per i vitalizi-pensioni degli ex-parlamentari potrebbe aumentare.
Il "massimo risparmio" (il 35% del monte vitalizi) conseguito con l'applicazione delle delibere Camera (del. 14/2018) e Senato (del. 6/2018) nella versione originaria fu ottenuto mediante una manipolazione senza precedenti - per arbitrarietà e artificiosità - di un diritto soggettivo perfetto, uguale per tutti i beneficiari, che produsse effetti irragionevoli e insostenibili, come il taglio fino dell'80% per gli ultranovantenni.
Quel sopruso, non ha retto neppure per gli organi di autodichia di Camera e Senato, noti per essere impermeabili e insensibili alle considerazioni politiche!!!
Il risultato è che già ora - a scrutinio tuttora incompleto - i risparmi sul monte vitalizi si sono ridotti dal 35% al 10%. La riduzione è dovuta allo spostamento della data da prendere a riferimento per il ricalcolo contributivo: non più quella avuta al tempo dell'assegnazione del primo vitalizio bensì l'età avuta dai beneficiari al momento dell'entrata in vigore della delibera cioè 2019.
In questo modo, non è stata però sanata né l'iniquità del prelievo né la diversità di trattamento uguale per tutti gli ex parlamentari (mentre la delibera originaria incideva in modo più o meno forte sui vitalizi del 93% dei beneficiari, la delibera corretta dalle sentenze parziali continua a incidere con tagli superiori al 10%, cioè alla media del risparmio conseguito, "soltanto" su 40% circa della platea dei beneficiari).
Questo è un supplemento di informazioni doverose da parte mia a cui faccio seguire la valutazione del nostro lavoro.
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Abbiamo in quest’ultimo periodo intensificato la collaborazione con l’Associazione dei consiglieri regionali con i quali vorremmo disegnare una comune strategia sulle questioni fiscali, sull’adeguamento delle nostre indennità, per quanto è consentito, tenuto conto delle nostre peculiarità come parlamentari. Collaboreremo ma soprattutto faremo iniziative comuni per potenziare le nostre potenzialità periferiche: Barbi vi chiarirà al meglio i termini della questione.
Per tutte le questioni che si riferiscono a problemi a cui ho accennato debbo dirvi che siamo in attesa di un appuntamento promesso a breve con il presidente del Senato sen. Ignazio La Russa che dovrà comunicarci che cosa intende fare con la attuale commissione di garanzia e con la nuova che dovrà nominare, e le conseguenze che ne deriveranno per i nostri vitalizi
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Ribadisco che la nostra certezza era quella di archiviare la lunga fase del contenzioso e dedicarci a discutere delle nostre attività che abbiamo comunque messo in atto in questi sei mesi e che vorrei puntualizzare anche nei particolari perché dovrà costituire comunque la nostra principale piattaforma sulla quale orientare i nostri programmi.
Ho detto varie volte che credo fortemente nel rilancio dell’attività regionale con un’organizzazione più puntuale più efficace.
Abbiamo organizzato congressi in Emilia-Romagna, nel Veneto, in Sicilia dove vi è stata una pre partecipazione straordinaria, in Campania, in Liguria e ci apprestiamo il 28 di organizzarla in Piemonte e poi in Abruzzo. Stiamo rinnovando il coordinamento e i coordinatori regionali e lo faremo per la fine dell’anno in tutte le Regioni. Motivare i nostri soci, chiamarli alla partecipazione, credo sia una cosa molto utile per non far dimenticare l’esperienza, la professionalità e le qualità politiche di chi ha ancora nel sangue il culto e il valore della rappresentanza che può e deve essere utile a svegliare le coscienze e a colmare se possibile il vuoto della cultura politica nella società e a riportare la politica dei partiti.
La crisi delle istituzioni, sulla quale mi soffermerò più avanti, non è delle istituzioni ma è nata nei partiti e si è estesa poi alle istituzioni e allo Stato. È per questo che abbiamo istituito i gruppi di studio sui quali poniamo molte speranze per tentare di incidere e di ottenere risultati.
Abbiamo già fatto riunioni per ogni gruppo e abbiamo convocato gli ultimi gruppi per il 27 p.v. Europa-politica internazionale e il gruppo giustizia per il 28 prossimo.
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Mi soffermo sul lavoro iniziato cominciando dal gruppo che è più attuale che si occupa del presidenzialismo e dell’autonomia differenziata.
Abbiamo avuto due consulenti di eccezione, (delle riunioni fattevi vi parlerà meglio Valter Bielli), come il prof. Luciani e il prof. Mirabelli, e abbiamo sinteticamente portato all’attenzione alcune problematiche che riguardano il metodo del lavoro che il Parlamento dovrà svolgere laddove però il metodo è gran parte e in qualche modo condiziona il merito.
Si è espressa una valutazione di grande preoccupazione per la situazione in Italia, in Europa e nel mondo
Ogni giurista sa che le riforme fondamentali si possono fare in un periodo di pace sociale;
- cambiare la Costituzione, perché di questo si tratta, se si vuol cambiare la Repubblica parlamentare in presidenziale è difficile perché forse una riforma così ipotizzata, anche se non si conoscono i contorni precisi, non può che essere fatta da un Parlamento ma deve essere preceduta da una fase costituente e poi da un referendum
Nel mondo c’è uno scontro tra autocrazie e democrazia e quindi al di là dell’intenzione si può intaccare il meccanismo delicatissimo del rapporto tra poteri che ha già un equilibrio instabile;
regolare meglio il rapporto tra governo e Parlamento con una legge elettorale che potenzi il rapporto del cittadino con le istituzioni;
l’autonomia differenziata che è strettamente connessa a questa problematica non è solo un problema territoriale per una possibile secessione, ma comprende l’unità dell’ordinamento e i diritti sociali di cittadinanza. C’è sempre l’interesse nazionale che deve avere la prevalenza. Su questo dobbiamo approfondire una riflessione al nostro interno per raggiungere un punto di sintesi.
Il Parlamento non può intervenire ex post ma c’è bisogno di un atto di indirizzo parlamentare
Il governo in uno Stato unitario è una cosa, un governo con poteri regionali è altra cosa.
La Costituzione prevede e disciplina l’adozione di “leggi di revisione della Costituzione” all’art. 138, adottate dalle Camere con due successive deliberazioni, a maggioranza assoluta dei componenti e non suscettibili di referendum confermativo se approvate in seconda lettura con la maggioranza di due terzi di ciascuna Camera.
L’approvazione con la maggioranza dei due terzi in seconda lettura si può fondatamente presumere che è valida se si è di fronte a una legge costituzionale che risponde a esigenze sentite dalla maggioranza del Paese (Perassi in Atti Costituente pag. 2764). Questa presunzione, affermata in un contesto di leggi elettorali proporzionali e ad alta partecipazione al voto, può essere difficilmente affermata se la composizione della rappresentanza parlamentare è eletta con sistemi maggioritari e bassa affluenza alle urne come quella attuale.
Ne deriva che una “revisione” della costituzione che incida su aspetti rilevanti dell’assetto istituzionale, dovrebbe essere opportunamente sottoposta a referendum confermativo, per determinazione della stessa legge di revisione , anche se approvavate con la maggioranza di due terzi.
La Corte costituzionale ha individuato la categoria dei “principi supremi dell’ordinamento costituzionale”, considerati non suscettibili di revisione.
Si tratta di incidere sull’architettura complessiva della Corte Costituzionale.
A me pare che si è in presenza di una “riforma”, e non di una mera “revisione” della Costituzione, e quindi sarebbe indispensabile un referendum popolare.
1) Per cambiare una Repubblica Parlamentare in Repubblica Presidenziale bisogna modificare in profondità l’attuale Carta Costituzionale
2) Riforme ardite o complicate come quelle non si possono approvare in una particolare situazione di contrasto sociale presente non solo nel nostro paese ma nel mondo occidentale e orientale dove è in atto uno scontro tra autarchia e democrazia.
Al di là delle intenzioni una riforma radicale può portare a conseguenze negative.
Si possono introdurre piccole modifiche mantenendo intatto, non solo sul piano formale, i ruoli e le funzioni delle figure istituzionali. In questo momento in Italia la funzione fondamentale di garante delle istituzioni e del paese è del Presidente della Repubblica che verrebbe messa in forse con qualunque modifica costituzionale
Per converso l’autonomia regionale esasperata non può non determinare, al di là delle intenzioni, differenze tra le varie regioni e quindi incrinare l’unità del Paese che è un bene prezioso e patrimonio di tutti
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Con questi interrogativi, come avevo comunicato al direttivo, abbiamo avuto un incontro lunedì scorso con gli ex presidenti del Parlamento che avevamo chiesto di incontrare. Devo dirvi che anche se non siamo riusciti ad averli tutti presenti ho parlato con tutti e ci incontreremo successivamente con ognuno di loro. In particolare è stato molto proficuo il dialogo con Casini, D’Alema e con Scognamiglio e con Violante perché ci hanno proposto una giornata di riflessione a settembre con la loro presenza per fare un punto approfondito sul problema della riforma costituzionale che a loro giudizio deve avere come protagonista il Parlamento e deve avere il più largo consenso. Due concetti che già soddisfano una richiesta che mi pare sia comune a tutti noi.
Io propongo senz’altro di accettare anzi di fare nostra questa proposta con un convegno che io intitolerei “Lo Stato della democrazia in Italia e in Europa”. E qui vorrei sviluppare alcune riflessioni che debbono interessare fortemente noi come classe dirigente che ha dato un contributo forte alla rappresentanza parlamentare e che può ancora incidere almeno con un’analisi e una diagnosi adeguate.
La crisi dell'idea di "rappresentanza" ha affievolito la democrazia e ha debilitato le istituzioni non più riconosciute affidabili dai cittadini e ha eliminato fortemente la sfiducia nella politica e nei politici. La democrazia rappresentativa è figlia delle rivoluzioni del settecento e dell'ottocento che avevano stabilito un rapporto tra popolo e sovranità. In quella prospettiva il voto dell'elettore era sentito come una conquista dei diritti di libertà e la politica garantiva la soluzione dei problemi insieme alla soddisfazione degli interessi dei singoli. Oggi il voto è solo espressione di adesione personale ad politico improvvisato e l'astensione dal voto è una manifestazione ancor più sofisticata che va al di là della protesta ritenuta addirittura inutile.
La democrazia dunque attraversa una crisi profonda, sistemica, che nessuno sa come risolvere perché manca un nuovo modello istituzionale così come manca un modello economico. L'economia di mercato e la finanza o l'economia reale sottomettono la politica, che essendo solo personalistica, non è protagonista né in Italia né in Europa.
D'altra parte se tutti lamentano la patologia di una democrazia senza partiti e nessuno riesce a rivitalizzarli con nuove prospettive, una ragione deve pur esserci: ed è la crisi della cultura e del diritto che hanno mutato il rapporto tra cittadino e Stato: non sappiamo quale Repubblica vogliamo, non c'è un punto di chiarezza tra il presidenzialismo, il pluralismo, la partecipazione democratica e la rappresentanza parlamentare, e nell'incertezza avviliamo la democrazia.
La lotta sociale negli ultimi due secoli ha allargato la democrazia e la partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato. Queste lotte sono state proprie della sinistra e la chiusura su questi temi è stata sempre della destra. Nelle contrapposizioni si sono affermate le posizioni di centro, che sin dalle pagine del grande Francesco De Sanctis, hanno avuto vitalità e lungimiranza.
Alla classe dirigente soprattutto politica veniva riconosciuto il merito di fare gli interessi generali e di lavorare per il bene comune. Oggi contano solo e soltanto gli individui e sono vilipesi gli strumenti politici: contano gli individui e non i partiti.
L'antiparlamentarismo si va diffondendo a macchia d'olio nell'opinione media di una società sempre meno formata, alla mercé di chi parla più forte, sempre meno legata alla memoria storica e sempre meno guidata da una classe politica colta.
Questo deficit istituzionale e politico è un problema enorme per la democrazia ed è necessario esaminarlo e approfondirlo con un'analisi realistica e cruda della società e dei valori attuali che sono disattesi e vilipesi.
Questa disgregazione è presente in tutte le società sviluppate perché "stiamo attraversando un grande disordine di massa con grandi divisioni nella società e invece di mostrare come possiamo andare tutti d'accordo, le lezioni dell'ultimo decennio sembrano esacerbare la sensazione che in realtà non siamo molto bravi a convivere. Una serie di fili elettrici è posta su tutta la cultura", per cui "è emerso il desiderio di correggere i torti che derivano "dalle generazioni che ci hanno preceduto".
Se vogliamo che la democrazia liberale sopravviva al populismo, dobbiamo ricordare le virtù della libertà e risvegliare i partiti, rinverdire la loro tradizione seguire un programma ambizioso, capace di rinnovare la promessa della democrazia liberale per un futuro migliore.
C’è il rischio di una involuzione democrazia che è cominciata almeno da molti anni, quando i partiti personali che non sono stati democratici al loro interno e che sono contro la Costituzione hanno attratto l’opinione pubblica facendo credere che i partiti erano un ingombro.
La democrazia è in crisi in tutta Europa e nel mondo.
C’è una competizione elettorale per scegliere i governanti che non serve più realizzare l’ideale democratico, cioè governare per raggiungere l’ideale del bene comune.
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Ecco tutta questa lunga analisi interessa in maniera particolare noi e ci consente di raccogliere la proposta del sen. Casini e preparare con il contributo vostro una giornata a settembre dedicata alla democrazia, per individuare, se è possibile, una cura per lo Stato.
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Il secondo gruppo di studio riguarda la riforma del nostro statuto e la formulazione dello Statuto del parlamentare così come l’attuazione dell’art. 49 della Costituzione.
Abbiamo fatto già riunioni approfondite su questi problemi molto delicati e vi riferirà Falomi che ha già preparato una lunga relazione.
Il problema interessa fortemente l’Associazione per il rapporto più forte che vogliamo avere con il Parlamento per ammodernare il nostro Statuto.
Abbiamo approfondito il problema della legge elettorale stante il giudizio negativo…di tutti sull’attuale legge così come su quella precedente.
Il gruppo studio sotto la direzione di Palumbo ha già fatto proposte che rispondono all’ esigenza di far diventare protagonista l’elettore com’era al tempo della legge proporzionale. Vi parlerà diffusamente Palumbo che l’altro ieri ha presieduto una ulteriore riunione a cui non ho potuto partecipare
Un'iniziativa referendaria per arrivare a una nuova legge elettorale per Camera e Senato trova fondamento in una situazione di sostanziale blocco dell'iniziativa parlamentare che impedisce di trovare le condizioni culturali, politiche e di convergenza parlamentare nell'interesse generale del rilancio della partecipazione e degli elettori per rivitalizzare la democrazia e la partecipazione nel nostro paese.
É opportuno che un'iniziativa referendaria di tale importanza venga promossa da uno schieramento ampio di personalità (costituzionalisti, giuristi, ecc.) e di associazioni e politiche e fondazioni culturali, piuttosto che dall'Associazione in quanto tale, per evitare che l'iniziativa assuma il significato di uno scontro tra "parlamentari cessati dal mandato" e "parlamentari in carica", questi ultimi ritenuti (forse non a torto), non intenzionati o non in grado di riformare la legge elettorale.
Questo complesso e decisivo problema deve interessare fortemente l’Associazione.
Il gruppo di studio dell’economia e servizi sociali sotto la direzione del senatore Grillo ha cominciato i suoi lavori sui quali riferirà il collega Crema.
L’ andamento del prodotto interno lordo dell'ultimo biennio non è positivo. Le grandi regioni del Nord, negli ultimi anni, hanno perso la loro posizione privilegiata: l'aggancio, cioè in termini di crescita, con i territori più ricchi e dinamici d'Europa. Il settentrione non è più una locomotiva in grado di portarsi dietro il resto del Paese. È da tempo che se ne discute a mezza voce. Ma adesso che le cose stiano effettivamente in questi termini è l'Istat a certificarlo.
L'Istituto di statistica ha appena pubblicato un corposo rapporto sulla «Politica di coesione e Il Mezzogiorno. Vent'anni», dice il testo, «di mancata convergenza», e il titolo è già indicativo.
La fantomatica locomotiva d'Italia non ha abbastanza carburante per trainare sé stessa figuriamoci il resto del Paese. destinato a rimanere sempre più indietro. La dimostrazione plastica sta nella classifica europea delle Regioni in base al Pil pro-capite. Qual è, insomma, la ricchezza prodotta per ciascun abitante. Venti anni fa, quando è stato avviato il ciclo di aiuti europei del 2000-2006, ben cinque Regioni italiane erano tra le prime venticinque in Europa: la Provincia autonoma di Bolzano, la Valle D'Aosta, la Lombardia, la Provincia autonoma di Trento e il Lazio.
Nel 2021 nelle prime venticinque posizioni su 242 Regioni dell'Unione europea a 27 Stati, è rimasta solo la Provincia di Bolzano. La Lombardia ha perso quattordici posizioni.
L'Emilia Romagna è arretrata di ben ventiquattro posizioni.
Il Veneto addirittura di trentasei postazioni. «L'Italia si è progressivamente allontanata dal resto d'Europa nel ventennio pre-pandemia. La sua area in ritardo, il Mezzogiorno, ancora di più. Ma il Meridione», si legge in un passaggio di Nord e Sud, un libro scritto da due esperti della Svimez, Carmelo Petraglia e Stefano Prezioso, «non è stato la zavorra che ha frenato la crescita dell'economia nazionale.
È l'intero paese che è scivolato in Europa», Insomma, secondo gli autori «il nostro Nord si è allontanato dalle aree europee più dinamiche. E la geografia economica italiana», spiegano, «si è complicata per l'emergere di nuovi dualismi».
L’interesse dell’Associazione deve essere attivo su queste problematiche sulle quali forse le indicazioni operative possono essere anche concrete.
Il 10 luglio faremo un convegno su questi temi con il governatore Fazio, il professore Giuliano Amato e il professor Angelo di Mattia.
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Il gruppo di studio per l’Europa è al centro del dibattito politico e il 27 faremo la prima riunione
Il 28 come vi ho detto riuniremo il gruppo giustizia.
Ho sempre detto che come Associazione non dobbiamo se non a titolo personale dare valutazioni e anche su questa questione particolare della giustizia possiamo dire che le proposte di Nordio ancorché timide sono sulla strada giusta.
A noi deve interessare il vulnus che deriva da uno squilibrio dei poteri che si è determinato in Italia e che è vistoso per la democrazia. Il problema non è solo italiano ma nel nostro paese ha una patologia particolare.
Il problema è il rapporto anomalo tra la politica e la magistratura e posso indicarlo con pochi esempi per evitare di dilungarmi anche su questo problema.
Nell'ultimo numero della rivista "Questione giustizia", organo ufficiale della corrente magistratura democratica, il direttore scrive:
""In moltissimi casi della vita sociale ed economica" - scrive Nello Rossi - "è il giudiziario ad intervenire in esclusiva, o almeno in prima battuta, nella ricerca di soluzioni di problemi inediti talora incancreniti dalla paralisi e dall'inerzia della politica.... e quindi c'è bisogno di una magistratura che assolva un incisivo ruolo di garanzia dei diritti individuali e della dignità delle persone” …. all'affermazione di diritti dolorosi come quelli relativi al fine vita; alle soluzioni offerte sul terreno dell'eguaglianza di genere; alla protezione di diritti umani fondamentali come nel caso dei migranti; alle azioni a tutela dei risparmiatori e delle finanze pubbliche in contesti finanziari sempre più complicati e vorticosi; agli interventi sulla condizione dei lavoratori marginali, come i rider o i lavoratori della logistica". ..... il magistrato non può pensare di essere un semplice passacarte, un freddo tutore dell'ordinamento giudiziario, ma deve rivendicare il suo ruolo speciale nella società, anche a costo di allargare il perimetro delle proprie prerogative.... La Costituzione
non indica più una direttrice di marcia univoca nel cui solco il giudiziario possa identifica re una sua funzione unitaria, storica...!"
Questo scritto è in coerenza con quanto scritto nel lontano 1983 sulla stessa rivista che io ho ricordato molte volte in questi anni, dal pubblico ministero Gherardo Colombo.
"La mancanza di una profonda, incisiva e penetrante opposizione politica da parte degli apparati cui lo svolgimento di questa funzione spetta istituzionalmente e costituzionalmente, ha indotto come conseguenza un fenomeno che riguarda direttamente la magistratura. II controllo giurisdizionale, tradizionalmente e istituzionalmente diretto alla composizione dei conflitti e all'accertamento di comportamenti devianti di singoli, si è via via trasformato per una molteplice serie di motivi, che hanno complessivamente portato al risultato di modificarne la natura....
"È stata devoluta alla magistratura una serie di compiti che non sono suoi propri e che investono più la funzione politica che non quella giurisdizionale. In tema di terrorismo, ad esempio, tutto il complesso fenomeno, di chiarissima natura politica, è stato affrontato a livello giudiziario e risolto - per quanto si è potuto attraverso strumenti utilizzati dalla magistratura. Quello del terrorismo è uno dei tanti settori nei quali si è verificata l'imposizione alla magistratura di un'attività di supplenza da parte di altri apparati dello Stato…. non mancano altri campi, più o meno estesi e più o meno evidenti, in cui sono state scaricate sulla magistratura responsabilità che spetterebbero, in linea di principio, ad altri organi o settori dello Stato. Cio ha portato necessariamente l'ordine giudiziario ad invadere, perché richiesto, sfere di intervento istituzionalmente riservate ad altri. È successo, inoltre, che gli spazi lasciati liberi dalla mancanza o dalla più o meno grave insufficienza della opposizione politica siano stati essi pure, ed essi pure necessariamente, occupati dall'intervento giudiziario".
È molto significativo come vi sia una costante in parti della magistratura di costruire un protagonismo istituzionale fuori dal dettato della Costituzione, ed è incomprensibile questa ostinazione di costruire una magistratura – politica. So bene che la colpa è della politica ma è la classe dirigente non solo politica che deve avere consapevolezza e allarmarsi.
L’evoluzione del ruolo della funzione della magistratura non può avvenire in queste forme perché costituirebbe un vulnus per la democrazia.
La distinzione dei poteri non è superata perché dall’epoca di Montesquieu sono passati tanti anni, ma è l’anima dello stato di diritto, dell’equilibrio tra i poteri perché nessuno deve prevalere sull’altro e ogni potere deve essere fedele alle sue rigorose competenze.
Riconosciamo che la crisi della legge ha affievolito la sua supremazia a vantaggio di un ruolo più consistente del giudice, che dunque si attribuisce una funzione pressoché illimitata di interprete della norma, e quindi assume di fatti un ruolo etico: quello di attribuire al giudice la funzione di controllo il "sistema" di operare per una funzione catartica: di far vincere il bene sul male!
Voglio citarvi la frase di un costituzionalista dell’Università di Yale Robert H. Bork il quale dal partito Forza Politica conclude il suo libro "Il giudice sovrano" con queste parole: "La rivoluzione politica porta con sé una rivoluzione culturale. Leggendo le opinioni di molti giudici sembrerebbe che essi ormai credono che la propria missione sia quella di proteggere la civiltà…. l'attivismo giudiziario, per le sue caratteristiche e per l'esempio che fornisce, incrina le fondamenta su cui sono basate le democrazie occidentali. Il concetto di rule of law, nato in Europa, essenziale negli ordinamenti statunitense e canadese è imprescindibile per tutte le civiltà occidentali, è ormai ridotto a un rispetto di facciata.
Se non comprendiamo il deterioramento della funzione giudiziaria a livello mondiale, la portata della rivoluzione politica che sta avvenendo in tutte le nazioni occidentali e che sta portando alla graduale ma incessante sostituzione del Governo dei rappresentanti eletti con quello dei giudici nominati".
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Si tratta di considerazioni complesse che fanno giustizia della idea diffusa che il contrasto tra potere legislativo e giudiziario sia una bega di basso livello. Il tema è arduo e difficile ed è il problema principale della democrazia moderna. Dobbiamo dunque partire da questa considerazione di fondo per adeguare la Costituzione alla nuova realtà che si è determinata.
Per ultimo indico nel gruppo di studio della cultura coordinato da Flavia Piccoli con particolare impegno è il presupposto e la conseguenza del nostro impegno e del lavoro di tutti i gruppi. Una iniziativa politica senza un riferimento culturale è sterile e senza anima.
Cari colleghi ho voluto dare un quadro complessivo delle problematiche che costituiscono la materia sulla quale si deve cimentare l’Associazione e per la quale chiedo la collaborazione di tutti.
Continueremo ad organizzare riunioni in periferia per risvegliare l’entusiasmo della rappresentanza che, anche se non è attiva, è riferita ad un rapporto forte che avevamo con i cittadini che io vorrei non venisse meno.
In Italia si è raccontata una storia dei partiti, di tutti i partiti e delle istituzioni non vera.
Dobbiamo correggere per quanto possibile e ricordare ai giovani che la libertà e la democrazia sono valori ineliminabili.
Giuseppe Gargani