Sul tema delle province e della loro non-abolizione pubblichiamo un'analisi dell'on. Beppe Facchetti, componente del Consiglio Direttivo dell'Associazione ex parlamentari:
Populismo e ipocrisia: il caso dei Presidenti di Provincia
In quest’epoca ipocrita condizionata dal populismo, magari si fanno cose buone, ma non si dicono.
E’ passato infatti quasi inosservato un provvedimento legislativo che ha ripristinato l’indennità di carica per i Presidenti di Provincia, il cui emolumento è stato reintrodotto in misura pari a quello del Sindaco del capoluogo corrispondente. Attenzione: “indennità” ed “emolumento”, parole scelte non a caso. Il lavoro politico non è stipendiato, se mai risarcito.
Una cosa giusta, (e una beffa per quelli nel frattempo decaduti). Per parecchi anni, si è lasciata il capo di una istituzione prevista dalla Costituzione e confermata dal referendum del 2016, alla mercè della gratuità, con la scusa che trattandosi di personaggi già Sindaci dei loro comuni, ricevevano comunque un emolumento. Poco importa che se il Comune era grosso, il doppio lavoro era impossibile (peggio ancora per le Aree metropolitane, chi le ha viste?) e se il Comune era piccolo la remunerazione non corrispondeva alla gravosità dell’impegno. Per non parlare delle responsabilità, talora assai pesanti, per chi ha compiti di protezione civile o manutenzione delle strade e delle scuole, con rischi penali molto rilevanti, confermati dalla tragedia di Rigopiano o dal ponte caduto nel lecchese.
Ma la furberia antipopulista dell’essere più populisti dei populisti veri, scelta pavida di cui la legge Del Rio è stato il sublime esempio, era quella non di difendere virilmente le ragioni della democrazia, ma di mollare alla canea urlante contro la casta il segmento più debole, quello che costava meno sacrificare sull’altare della concorrenza pentastellata. Per l’appunto le Province, da strangolare poco alla volta togliendo ad ogni Finanziaria qualche miliardo. Un accanimento per spazzar via la rappresentanza (Consigli Provinciali ridicolmente striminziti, non eletti) e risparmiare circa un euro/anno a cittadino italiano per poter affermare che si erano “tagliate le poltrone”.
Anni di silenzioso eroismo di Assessori che non potevano chiamarsi tali ma solo delegati del Presidente, chiamati a dedicare mezze giornate e week end alla Provincia, tollerati bonariamente da una burocrazia ben più potente, che nelle intenzioni doveva semplicisticamente trasferirsi alle intoccabili Regioni, ma non lo ha mai fatto perché – essa si – meglio remunerata.
Risultato finale: strade provinciali trascurate da una manutenzione impossibile per mancanza di fondi, buche assassine (e relativi processi sempre in capo al Presidente della Provincia…), nazionalizzazione finale Anas, che arriva dove può, tempestiva solo quando asfaltare una strada è urgente perché passa il Giro d’Italia.
Ora il Presidente verrà finalmente compensato, ma zitti: non ditelo in giro, perché altrimenti Travaglio tuona in tv. Per il resto, tutto uguale. Nessuno che si alzi a difendere o comunque sostenere una tesi che sia almeno un po’ razionale. Se le Province ci sono, facciamole funzionare e rendiamole responsabili davanti agli elettori. Se vogliamo toglierle di mezzo, facciamolo seriamente, aprendo un discorso di riforma complessiva dello Stato e decidiamo, se ne abbiamo il coraggio, di fidarci delle Regioni. Ma smettiamola con la corsa a chi è più anticasta, visto che gli anti sono ormai diventati tutti casta, e Di Maio gira (giustamente) con l’aereo blu.
Beppe Facchetti