IL GIUSTO INSIEME AL PARLAMENTO!
Il taglio dei vitalizi agli ex parlamentari è in atto ed è, per molti di loro, motivo di tanta sofferenza, sia perché intacca pesantemente e irragionevolmente la condizione di vita, sia perché è una misura ingiusta e palesemente punitiva per chi è stato chiamato, con il voto, a legiferare nel Parlamento italiano. Punitiva perché a nessuno si è mai ridotta retroattivamente una remunerazione assolutamente legittima e regolarmente percepita da anni. Sconcerto per una norma che taglia a molti anche oltre l'80% di quanto si percepiva.
Ciò detto, e lasciando che i ricorsi seguano il loro iter, aprire una riflessione su come e perché si è giunti a tanto e su cos’altro si potrebbe fare per tentare di chiudere prima possibile una partita che penalizza noi e reca seri danni d’immagine anche al Parlamento, non dovrebbe essere considerato un esercizio inutile.
Una riflessione che riconosce, agli eletti in questo Parlamento di essere l’espressione di un popolo che ha fiducia nella natura democratica del sistema e che ha affidato loro, tra le altre cose, il compito di ridimensionare le inaccettabili diseguaglianze che esistono nella società, in armonia con una Costituzione difesa solo da poco più di un anno con una valanga di NO, che hanno seppellito il maldestro tentativo di alterarne i contenuti.
Senza ripercorrere l'intera storia si può dire che i vitalizi sono stati sempre deliberati, e di volta in volta modificati, dagli uffici di presidenza delle Camere senza alcuna opposizione e la ragione, a differenza di quanto è capitato in questa occasione, sta nell’aver constatato che quelle decisioni hanno sempre confermato l'ancoraggio alle motivazioni che informarono la legge n. 1261 del ’65 che istituì, in attuazione dell'articolo 69 della Costituzione, l’indennità parlamentare. I legislatori, chiamati a formularla, ritennero che si dovesse garantire al legislatore un compenso adeguato che tenesse conto dell'importanza e della delicatezza della funzione cui veniva chiamato il parlamentare e che offrisse serenità e sufficiente efficienza per poter tutelare al meglio il bene comune in assoluta autonomia di giudizio ed al riparo da interferenze e condizionamenti.
Nel definire la sua regolamentazione, non essendoci alcun contratto di lavoro al quale riferirsi, chiamarono quel compenso indennità, mentre per il quantum, evitando arbitri, scelsero opportunamente di cercare, tra le gerarchie della Magistratura, che è un altro dei poteri dello Stato, trovando che il Presidente della prima Sezione della Corte di Cassazione rappresentasse l’equo parametro al quale far riferimento.
Il varo di quella legge chiamò gli Uffici di Presidenza di Camera e Senato a definire conseguentemente cosa si sarebbe dovuto riconoscere al parlamentare cessato e decisero, in ragione dei motivi che ispirarono quel testo, che a loro si sarebbe dovuto erogare all’età prevista, e sulla base degli anni di mandato espletati e/o riscattati, non una pensione ma un vitalizio calcolato percentualmente sull’indennità percepita dal parlamentare in carica.
Questa regola può evidentemente ritenersi discutibile ma non può essere negata la sua legittimità fino a consentire a qualcuno di dire che coloro che hanno percepito quel vitalizio hanno “rubato un privilegio”.
Sembrerebbe, il nostro, un ragionamento ineccepibile ma non si può negare il diritto di obiettare che si è trattato di una misura legittima pur tuttavia sovra-dimensionata e che oggi, stante l'abnorme indebitamento dello Stato e le difficolta nelle quali sono costretti a vivere milioni di italiani, si pone l’esigenza di rivederla nel contesto di misure che coinvolgeranno anche altri soggetti.
Non si può negare al governo di agire per contenere la spesa e reperire, entro le regole, le risorse necessarie per rimettere in moto l'economia e promuovere lavoro da offrire a chi lo ha perduto, anche se, evitando di usarlo come escamotage per aggirare il taglio, si potrebbe dire che una più rigorosa politica fiscale risulterebbe più appropriata ed efficace. Opporsi alla riduzione delle macroscopiche disparità che esistono sarebbe un grave errore. I milioni di poveri non sono più disposti a sopportarle. La loro indignazione sale alle stelle quando si apprende che si elargiscono bonus e liquidazioni milionarie a chi gestisce, con risultati discutibili se non fallimentari, aziende pubbliche o semipubbliche o che si pagano pensioni inimmaginabili a chi ha goduto per anni di mensilità sovrabbondanti e spesso discutibilmente concesse.
Rimuovere gli eccessi è giusto ma, per assicurare una armonica convivenza civile, è anche necessario che non si mortifichino le oggettive differenze riconoscendo compensi diversi entro parametri ragionevoli e limiti non superabili che possono essere di volta in volta rivisti, in ragione del variare delle condizioni nelle quali si opera.
È in questo contesto che l'indennità parlamentare ed il conseguente vitalizio devono essere considerati "privilegi giusti" anzi, necessari fino a quando si riterrà che il Parlamento è l'istanza cardine di un sistema democratico cui compete di fissare i paletti entro i quali regolare la convivenza civile in uno stato di diritto.
Privilegi da rivendicare la cui misura deve essere discussa, conosciuta e riconosciuta dai cittadini, commisurandola con le altre istanze pubbliche e private che agiscono nella società italiana. Privilegi giusti che non è consentito giudicarli regalie auto-attribuitesi dalla solita “casta”.
Se si è dentro questa logica si può anche chiedere di aprirsi ad un ritocco misurato del vitalizio originario ed usare questa eventuale disponibilità quale esempio utile per chiederla anche ad altri ma insistere sulla esagerata misura in atto rappresenta solo uno spauracchio che alimenta la protesta di altri colpiti e sollecita anche quella di chi paventa di essere nel mirino. Quanto sin qui fatto deve essere considerato lodevole e non è facile capire cos’altro si può e si deve fare per uscire dallo stallo nel quale siamo stati cacciati e che sta logorando anche l’immagine del Parlamento ma, senza mettere in discussione i ricorsi, che è bene seguano il loro iter evitando da parte di tutti di forzarne il risultato con pressioni, minacce e/o provocazioni, sembra chiaro che l’attuale momento politico consiglia di perseguire, con sufficiente insistenza e lungimiranza, una ravvicinata conclusione della brutta partita che siamo costretti a giocare ottenendo ciò che è giusto ma insieme, e non contro il Parlamento.
A tal fine dovremmo evitare inutili contrapposizioni, sollecitare aperture, raccogliere occasioni che consentano di fare breccia su quello che sembra essere un monolite inattaccabile ma che è meno compatto di quanto appare. Tentare, cioè, di tornare al punto di partenza mettendo sul tavolo la disponibilità a chiudere una vicenda deleteria per tutti, recependo ritocchi che evitino smisurate forzature delle regole. Favorire la chiusura chiedendo al Parlamento di farsi carico di elaborare una proposta tesa a regolamentare, una volta per tutte, quali sono i doveri e quali le prerogative cui avranno diritto in seguito tutti coloro che saranno chiamati a svolgere incarichi elettivi nelle diverse istituzioni italiane. Una regolamentazione aperta al confronto nel Paese e che risulti un passo in avanti verso il recupero di quell’indispensabile sintonia che dovrebbe sempre esserci tra il popolo e coloro che lo rappresentano.
Roma, 6 marzo 2019
Franco Proietti